Non c’è nulla di immutabile, tranne l’esigenza di cambiare,
dice Eraclito, e l’essenza della fiducia di ogni affidamento, non è soltanto
guardare al di là della situazione presente, ha più ampi orizzonti il senso
della vista, è una forza vitale, capace di credere, perché ama dell’amore in
cui è innestato, una forza capace di tenere alta la testa, di sopportare le
ingiustizie, una forza che non lascia mai il futuro agli iniqui, ma il futuro
lo pretende per sé. L’agire politico è legato alle esigenze
morali, pertanto la metodologia politica non può essere sorretta da
un’antropologia di tipo quantitativo, che ambisce a un gran numero di consensi,
piuttosto deve essere sorretta da un’antropologia qualitativa, che miri a
ottenere la fiducia dei cittadini. Principio cardine dell’etica sociale è la
dignità di ogni essere umano, il rispetto della persona esige la solidarietà,
perché nessuna categoria economica, etnica, religiosa, sia esclusa dal bene
comune. Condizione
peculiare è la capacità di pensiero, che con senso etico e morale ha
chiaro il significato del pensare come dovere, amare come missione, desiderare
il bene dell’altro come fine. Coerenza, correttezza comportamentale, rendono pienezza all'essere testimoni credibili di una sana forma di umanità in politica.
Abbiamo si il dovere di pensare, e di pensare Alto. Tuttavia, al pensare alto si arriva in seguito alla crescita della coscienza, nel senso inteso da Tommaso d’Aquino, ovverosia conoscenza, con il fine di volersi mantenere autonomi pensieri pensanti e non, come invece costatiamo, masse di opinionisti derivati, quand'anche esaltati: è questa la cultura del ‘clonato’. E chi siamo noi? Anime anonime nemmeno degne di carità cristiana, anime che vagano nella forsennata ricerca di una mano amica che nemmeno più esiste? Urge superare le tendenze all'anonimato nei rapporti umani, convertire la “solitudine” in “solidarietà”, la “diffidenza” in “collaborazione”, promuovere la comprensione, la mutua fiducia, l’aiuto fraterno, l’amicizia, la disposizione a “perdersi” a favore dell’altro. È nell'essenza del pensiero che si manifesta la sostanza della nostra natura umana. Peccato che troppo spesso assistiamo all'assenza dello stesso, quindi all'assenza della natura comprensiva, coinvolta e persa nell'aridità del nulla dire, nulla costruire. L’inquietudine alberga l’animo umano che lo condiziona in fragilità e insicurezza, capace nel frattempo di sfociare in doloroso egoismo, assurda violenza e irresponsabile arroganza. Socrate sosteneva che è peggio compiere un’ingiustizia che subirla, e lo stesso ha sempre insegnato la dottrina cristiana.
Di contro: ciò di cui è più sprovvista la società moderna è il diletto del sano pensare, espressione pura della nudità dell’animo umano,
che si traduce nella bellezza della vita e, con essa, quindi, del desiderio
della conoscenza, anche del trascendente. L’assenza di tale dato essenziale per
la vita dell’uomo, per il suo progredire in umanità, comporta la perdita
dell'umanità stessa e conseguente assenza di ricerca in se del senso della
vita, un insano lasciarsi andare all'egoismo, indifferente nei confronti dell’alterità cui si è, invece, legati in un rapporto indissolubile.
Credo, altresì, che l’asserzione ipocrita più sfacciata del
mondo moderno, sia l’aver chiamato giustizia sociale ciò di cui, con questo
nome, non rimane altro che una materia esanime. Quello che i nostri
contemporanei intendono per giustizia sociale è di rendere il dovuto a
ciascuno, preso individualmente, su un piede d’eguaglianza con tutti gli altri
membri del gruppo di cui fa parte, - che già sarebbe qualcosa -. Tuttavia una
società siffatta è la negazione, e distruzione della società. È propriamente
una “non società”, perché composta di chicchi di grano rigorosamente eguali e ognuno
dei quali, nulla potendo avere in più o in meno degli altri, nell'assoluta mancanza di rispetto della libera potenzialità, non può quindi rendere agli
altri quanto è loro dovuto. Per mantenere l’ordine e la coesione in una simile
società, non resta che la costrizione. I chicchi di grano - che saremmo noi - sono
mantenuti uniti sotto la pressione costante di un pugno di forza, che li limita
nel non rispetto del proprio essere umani, e nel non lasciarli liberi di
ascendere secondo il proprio potenziale naturale.
Ecco che, in aiuto, sopraggiunge la virtù della fortezza che,
come dice Tommaso d'Aquino, consiste nell’operare
fermamente, nel rimuovere ostacoli, nel coraggio con cui affrontare le
difficoltà e che è, innanzi tutto, virtù improntata a verità. La fortezza
ci da subito l'idea di qualche cosa che apre gli orizzonti della grandezza
d’animo e della generosità, del vigore dell’animo nel compimento del proprio
dovere, quindi, anche del superamento delle iniquità e delle debolezza. Quasi
fosse figlia della fortezza, ecco che affiora la mitezza: non è un paradosso,
piuttosto mera verità il dire che una giusta collera è un aspetto della virtù
della mitezza, poiché questa non è né priva di carattere, né inconsistente, né
mielata; è la virtù della giusta collera (2 Tm 2, 25). Il carattere rivoluzionario della mitezza affiora
soprattutto dal confronto con le inclinazioni opposte, ovverosia: arroganza,
protervia, prepotenza. Tuttavia essa, la mitezza, non deve essere confusa con
la condiscendenza, né con la disponibilità. Mentre il remissivo rinuncia alla ‘lotta’ per
debolezza, per paura, per rassegnazione, il mite, no, rifiuta la distruttiva
gara della vita per un senso di fastidio. Egli non serba rancore, non è
vendicativo, non ha avversione contro nessuno ma ama la verità, la sua purezza,
e per questa tutto dona.
Ergo: l’ambizione più sana cui tendere nella società è essere innesto di fortezza e mitezza. La politica, il
politico devono rispecchiarsi nelle virtù cardinali, in quelle teologali che ne
sono il motore, maturale nell'agire del servizio, sfuggire i vizi in cui troppo
spesso cadono. Mantenere un realismo che non si rassegna e rimane aperto
alla speranza, poiché è necessario
invertire il nefasto intendere del tempo attuale secondo il quale: scopo più
perseguito è quello del potere. Il tempo
è più importante degli spazi, il tutto è più importante della parte. Occorre
mutare questo insalubre intendere e restituire priorità all'amore solidale,
alla carità intellettuale, alla cultura che è sensibilità. Per l’etica
delle virtù non basta che le azioni siano giuste, occorre che la persona sia
giusta; non basta che le azioni siano solidali, occorre che la persona sia
solidale, solo in tal senso il
comportamento umano potrà edificare pro bono totius.
Proprio, dunque, dell’innesto
di fortezza e mitezza è la capacità di pensare Alto, genialità del saper incontrare
l’umanità e mettersi a suo servizio per ‘Insieme’ costruire, ‘Insieme’
edificare il dato spirituale e materiale che la vita chiede nella verità, poiché sentii l’esigenza nel cuore e volli infinitamente volte volli il sogno
di una innovativa Speranza!
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