Nella sua natura di anelante ricerca, la
persona, “uomo problematico” come lo definisce Gabriel Marcel, è in grado di
abbracciare, con il domandare, il suo stesso essere, fin nelle radici più
profonde. L’inquietudine costruttiva che alberga la persona, gli consente di scoprirsi
bisognosa di dialogare con l’altro, natura che intimamente si articola come in
un discorrere continuo per conoscere e conoscersi. L’essere in sé della persona
corrisponde alla sua incomunicabile soggettività, vale a dire: si appartiene e
si gestisce come sorgente delle proprie scelte e dei propri atti.
Ma cosa significa incomunicabilità?
Affascina
questo termine apparentemente in contraddizione con la natura - relazione di alterità - dell’uomo.
Cerchiamo, dunque, di comprenderne meglio il senso.
L’incomunicabilità nella
filosofia di Tommaso d’Aquino è intesa come unicità dell’uomo,
creato da Dio, persona completa in se stessa che si distingue da tutto il
resto: «De ratione personae est quod sit incommunicabilis». (S. Th.,1. q 30, a.4, ob. 2). Nella
consistenza ontologica di questa unicità si fonda il valore irripetibile di
ogni persona: la “sussistenza” dell’essere personale è la ragione profonda
della resistenza a ogni spersonalizzazione, è il motivo del rifiuto di ogni
oggettivazione che risolva la persona in pura esteriorità. Scrive Emmanuel Mounier:
“La persona non è un oggetto: essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può
essere trattato come un oggetto […] Essa è l’unica realtà che ci sia dato di
conoscere e, in pari tempo, di costruire dall’interno [...] La persona è un’attività vissuta come
autocreazione, comunicazione e adesione, che si coglie e si conosce nel suo
atto, come movimento di personalizzazione”. (Il personalismo, Roma, 1964).
L’idea tomista di sussistenza dell’essere
personale, cui si associano quelle di incomunicabilità, di assoluta originalità
e non partecipabilità, dovute all'unicità ontologica, è il baluardo teoretico
contro ogni possibile manipolazione della persona, la sorgente profonda e
nascosta di ogni sua irradiazione e di ogni riconoscimento della sua dignità.
Ecco perché l’esse in se personale equivale
a singolarità originale, a sovrabbondanza di un essere che, possedendosi nell'autocoscienza e nella libertà, può aprirsi e donarsi ad altri, e accogliere altri in sé.
L’essere per sé della persona, lungi dal
chiudersi nel ripiegamento su di sé, fonda nel modo più rigoroso l’eticità, e
quindi la responsabilità verso se stessi e verso gli altri: riconoscendo il
valore assoluto della dignità personale nel soggetto, conduce a riconoscerlo
anche nella persona di ogni altro, raggiungendo l’interiorità personale con la luminosità
della sua esteriorità.
La comunicazione non è dunque il puro
uscire da sé della persona, lo svuotarsi senza residui nell'altro, che si risolverebbe in dipendenza e alienazione; né è il puro accogliere l’altro in
sé, facendone oggetto del proprio conoscere e del proprio volere. È, piuttosto,
il rapporto fluido per cui uscendo da sé la persona si ritrova nell'altro e
accogliendo l’altro in sé ne è arricchita, proprio in quanto lo rispetta nella
sua alterità. “Non si diventa ‘uomini completi’ da soli, ma unicamente assieme
ad altri”. (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza
e resa. Lettere e scritti dal carcere, Milano, 1988).
L’essere umano, dunque, è unicità
irripetibile, dignità infinita che, tuttavia, si esprime e si compie pienamente
soltanto nella comunione e nella storicizzazione etica, sociale e politica di
essa, è esistenza solidale con gli altri che sfocia nell’esse cum, principio di solidarietà.
[Foto: Eustache Le Sueur - Le muse –
Clio, Euterpe, Talia]
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