La mitezza come virtù, di cui Tommaso d’Aquino ne farà un dono dello Spirito Santo ‘che si misura col volere divino e così ci garantisce una tranquillità morale’, è una virtù che sboccia sul terreno di un’altra virtù che si chiama “dominio di sé”. S. Paolo cita tra i frutti dello Spirito, l’una accanto all'altro, la mitezza e il dominio di sé (Gal 5, 22). Senza dolcezza non c’è vera libertà di linguaggio, spiegherà Giovanni Crisostomo e, aggiungo, alcuna possibilità di dialogo. Non è un paradosso, piuttosto mera verità il dire che una giusta collera è un aspetto della virtù della mitezza, poiché questa non è né priva di carattere, né inconsistente, né mielata; è la virtù della giusta collera (2 Tm 2, 25).
Il carattere rivoluzionario della mitezza affiora soprattutto dal confronto con le inclinazioni opposte, ovverosia: arroganza, protervia, prepotenza. Tuttavia essa non deve essere confusa con la condiscendenza né con la disponibilità. Mentre il remissivo rinuncia alla ‘lotta’ per debolezza, per paura, per rassegnazione, il mite, no, rifiuta la distruttiva gara della vita per un senso di fastidio. Egli non serba rancore, non è vendicativo, non ha avversione contro nessuno ma ama la verità, la sua purezza. Il mite può essere configurato, in una qualche maniera, come colui che, con la tenerezza dell’essere umano, concretizza, anticipandolo, un mondo migliore nella verità che ricerca.
L’ambizione più sana della persona nella società, è mantenere un realismo che non si rassegna e rimane aperto alla speranza, poiché è necessario invertire il nefasto intendere del tempo attuale secondo il quale: scopo più perseguito è quello del potere. Occorre mutare questo insalubre intendere e restituire priorità all’amore solidale, alla carità intellettuale. Per l’etica delle virtù non basta che le azioni siano giuste, occorre che la persona sia giusta; non basta che le azioni siano solidali, occorre che la persona sia solidale, solo in tal senso il comportamento umano potrà edificare pro bono totius.
Sosteneva Giorgio La Pira: “Tutti coloro che hanno una qualunque responsabilità politica o amministrativa devono meditare una data realizzazione per risolvere i problemi politici fondamentali. Altrimenti siamo dei direttori generali, non siamo dei filosofi”. Occorre meditare con responsabilità ed essere filosofi, capaci cioè di pensare in concreto il dato della responsabilità, atteggiamento oggi del tutto messo da parte dall'agire politico. Ecco che si è chiamati a operare per il bene comune non come a un esercizio politico di potere da gestire, ma a un attivo compito di pensatori, onore di cui essere responsabili, da ponderare e mettere a frutto attraverso la capacità di pensare verso il Noi paese, piuttosto che l’ego bandiera/partito. Trovare il nulla è la dimensione attuale del quadro politico che dimentico della facoltà prima di pensare, è dimentico, di conseguenza, della capacità di vivere la relazione sociale da cui si è dissociata snaturando la sua ragione d’essere.
La capacità di pensare, di pensare Alto, è proprio di ogni Mitezza Rivoluzionaria, geniale nel saper incontrare l’umanità e mettersi a suo servizio per ‘Insieme’ costruire, ‘Insieme’ edificare il dato spirituale e materiale che la vita chiede nella verità. L’aspetto più interessante dell’onore della mitezza e, dunque, del suo essere civile, è il tratto spontaneo, uno stile diverso da quello dominante, poiché alle urla scomposte preferisce il linguaggio di una parola misurata, come anche predilige la lealtà verso i collaboratori, attitudine assente ma da rilanciare nello spazio politico: l'ostilità verso chi ti sta vicino può condurre solo alla miserabilità.
Propria della carità intellettuale è la Mitezza Rivoluzionaria che mette al centro del proprio interesse operoso la Persona, la sua edificazione, il ‘Noi’, poiché sa bene che il bene è nel prossimo, non c’è cosa più alta per cui valga la pena vivere se non il rispetto della dignità, dell’unicità umana che edifica nell'essere e sentirsi ‘Insieme/Noi’.
Nessun commento:
Posta un commento