La cultura ha bisogno di azione, per
questo la comunicazione diventa una virtù tangibile. “Non si può non comunicare”
diceva Paul Watzlawick, comunicare implica una
relazione, un’apertura al mondo, un voler capire e farsi capire, ma il
comunicare parte da se stessi, si comunica a partire da se stessi, il cognoscimento di se lo chiamerà Caterina
da Siena, che implica un conoscersi per comprendere e ancor più imparare. Non
si può, dunque, non comunicare, non si può, a prescindere da se stessi.
La
dimensione umana è dotata di spazi immensi d’inesplorata cognizione, di
trascendenza inespressa, il rifiuto di accogliere il Nos e far emergere l’ego denota una rigidità di comprensione tutto frutto di paure inesistenti,
mai affrontate, e radicato attaccamento alla propria visione umana, spesso
snaturata, fonte molte volte di aberranti e scellerati gesti: “La credenza che la realtà che ognuno vede
sia l'unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni” scriveva
Watzlawick. La cultura, apre orizzonti infiniti di comprensione e, per
questo, ha bisogno di azione, di atti concreti che devono trovare riscontro reale
per i bisogni della società, per il superamento delle sue difficoltà.
Lo sforzo
primo è richiesto al corpo politico, quello centrale, di governo, e quello
operante sui singoli territori regionali, corpo di grande responsabilità, che
genera, nell'opaca e nebulosa gestione della cosa pubblica, conseguenze non produttive per la comunità, per il bene comune, lasciando spazi di disagi su
tutti i fronti, la cui azione preminente sembra colpire la persona nei suoi
bisogni di edificazione umana. Non più dunque, per l’oggi governativo vissuto,
la persona al centro della politica, piuttosto la politica baricentro di ogni
consolidamento e beneficio, fine solo a se stessa. Manca al dato politico
attuale la cultura, e per cultura non s’intende un libro letto, lauree conseguite,
oggi assai deflazionate e sembra senza alcuna prospettiva di pratica
operatività e applicazione nel mondo del lavoro, vista la decadente situazione
economica europea e mondiale, tutto sembra votato alla raccolta di materia, che
comunque si lascerà, e non si tiene conto, invece, del valore umano, del
capitale umano senza il quale nulla progredisce, assolutamente nulla!
“Ma la cosa più bella che la Terra ci ha dato, ciò che fa di noi degli
esseri umani, è la
felicità di condividere. Chi non sa condividere è malato nelle sue emozioni”
scrive Marc Levy.
La povertà prima dei
nostri tempi è la radicata credenza che essere umani è un dato superato e che
l’unica cosa da ricercare per la propria affermazione sia l’avere materia,
tecnologie avanzate, posizioni di potere per gestire clientele del pensiero
unico. Povertà vera è questa condizione, questa bizzarria cui la società
‘potente’ ha assoggettato la realtà umana privandola della creatività, del
sogno, del poter dire: il talento non si crea con l’‘accompagno’, talento si è
dalla nascita e per questo si deve ringraziare Dio, non mai l’uomo ambizioso di
‘potere’. Scelleratezza, involuzione umana hanno, oggi, relegato la moltitudine
dei cuori a non sognare, a rinunciare, a non avere prospettive future e la classe
politica cosa fa? Continua nel suo nulla produrre, nel far star bene chi li fa
stare bene, alimentando sperequazioni e divari incolmabili dei ceti sociali. Nessuna
prospettiva imprenditoriale, di politiche di sviluppo economico, di
salvaguardia del patrimonio umano, tesoro prezioso di ogni nazione. Sembra si viva nel
relativismo totale del vediamo cosa possiamo inventarci oggi per far passare la
giornata, illudendo e facendo scrivere fiumi di chiacchiere ai giornali, quand'anche sbizzarrendosi con tecniche di comunicazioni a dir poco riprovevoli, alimentando speranze di rinnovamento e di rapide riprese. Non si illudono i cultori di cultura, si deve avere rispetto per chi da sempre e per il bene di tutti ne coltiva feconda ricchezza.
Con Blaise Pascal: “Il finito si annulla davanti all'infinito e
diventa un puro niente. Così il nostro spirito davanti a Dio, e la nostra
giustizia davanti alla giustizia divina”.
Cultura, dal latino còlere, significa coltivare, è la parola
più nobile di cui ci si possa nutrire, coltivare il “terreno anima-corpo”, non
solo materiale quand'anche spirituale dell’uomo, al fine di renderlo fecondo, che equivale ad esercitare le facoltà morali dell’uomo, edificandone la vita. E’
l’ambizione più grande cui aspirare, è la più difficile proprio perché richiama
al Nos e al superamento dell’ego
azione. Quanta povertà di comprensione di questo senso della cultura c’è nella
nostra politica, ancora oggi, quando difficoltà immani impongono alla gente sacrifici
impossibili, tali da non riuscire a vivere. Non si sconforta l’animo votato all'amore e alla comprensione della grazia, ma non si può chiedere a tutti di
essere forti, per questo diventa impellente una Cultura di Azione, un sano
coltivare e, soprattutto, una comunicazione di verità, di tangibile virtù
operosa, dando esempi concreti di buon-fare, di bene-dire, che non diano adito
a incognite: pro Nos o pro ego?
[Foto: Raffaello - Part. Scuola di Atene: Pitagora, Ipazia]
Nessun commento:
Posta un commento