giovedì 25 maggio 2023

S. Nicodemo da Sikròs: la storia che cambia la storia a Cirò

Dal 1696, in Cirò, viene mantenuto vivo il culto verso San Nicodemo, anno in cui viene proclamato Santo Patrono e Protettore, anche perché il Santo era creduto nativo della cittadina che da allora custodisce le sue Sacre Reliquie richieste e ottenute dal, in quel tempo, Principe feudatario D. Carlo Francesco Spinelli. Non è certo semplice verificare dati che mutano la storia legata al luogo di nascita del Santo, ma studi hanno evidenziato l’errore di attribuzione del luogo di nascita a Cirò che storici, medievisti e del monachesimo, avevano riportato già dalla fine del 1960. Certo, la tradizione ha il suo valore, ma dobbiamo stare attenti a non subirla passivamente, né assumerla acriticamente, dobbiamo stare attenti a non schierarci in modo acritico dalla sua parte, con superficialità, relativismo o, peggio ancora, con sentimentalismo o campanilismo. Non è accettabile, tanto meno condivisibile che, per partito preso si chiudano gli occhi davanti alla verità, davanti all’evidenza documentabile. Se vogliamo essere coerenti, liberi da ingessature costringenti la cultura, e vogliamo conoscere veramente la storia del Santo, dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione tutto, proprio tutto, anche le nostre posizioni, per ricercare quei documenti che resistono alla critica e ci assicurano la verità storica. È anche il modo migliore per capire la storia del territorio, nobilitandolo con il senso reale del fare ricerca e cultura. Ecco che lo studio di fonti mette in luce come spesso, nel passato, errate interpretazioni o affermazioni approssimative, abbiano indotto molti studiosi in errori che, poi, si sono tramandati nel tempo, condizionando una più autentica lettura della storia. È necessario poter andare oltre quegli elementi che la pietà popolare ha introdotto nel corso dei secoli narrando fatti tramandati spesso oralmente, la gran parte dei quali amplificati o minimizzati dalla spinta emozionale. Va da sé che quando si parla di storia, si intende la narrazione di fatti la cui veridicità poggia su dei documenti attendibili (1).

S. Nicodemo nasce prima dello scisma, quando la Chiesa era unita ad Oriente e Occidente, seguiva dunque la Liturgia Bizantina e celebrava la sacra Eucaristia in rito greco - la Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo. Il più antico documento afferente la vita di S. Nicodemo è il suo bios, che si conserva presso la Biblioteca Universitaria di Messina. È la copia tradotta che nel 1307, Daniele, monaco del SS. Salvatore, monastero greco di Messina, fece del Sermone sulla vita del santo padre Nicodemo (2) sermone scritto da un monaco, un certo Nilo, che non dobbiamo confondere con S. Nilo di Rossano, piuttosto è, probabilmente, lo stesso autore della vita di s. Filareto, ipotesi accreditata dalla studiosa Arco Magrì. E ci chiediamo: quando il monaco Nilo scrive il testo? Se Nilo è lo stesso autore che compose, in giovane età, la vita di Nicodemo, e in tarda età quella di Filareto, che lui ha conosciuto presso le Saline, nel Monastero di s. Elia il Giovane, ed era suo coetaneo, potremmo presupporre che Nilo nacque non più tardi del 1040 e che il bios di s. Nicodemo sia stato composto verso il 1060-1065. Nel 1307 l’amanuense Daniele traduce, dunque, il bios di Nicodemo e dall’originale dell’antico manoscritto riporta che S. Nicodemo nacque nelle Saline (en salinais), in un villaggio denominato Sikròs. Apollinare Agresta (3), quindi, autore da cui nasce l’errore storico, non poteva conoscere l’originale del bios, piuttosto la sua già avvenuta trascrizione. Agresta, inoltre, non tenne conto di quanto in esso riportato, preferendo attingere a tradizioni orali o fantasie. Va da sé che il bios di Nicodemo, trascritto dall’originale del 1060-65 dal monaco Daniele nel 1307, è l’unica fonte esistente, possiamo definirlo il primo testo che tratta della vita di S. Nicodemo. Dallo stesso conosciamo il luogo di nascita: Sikròs, che non è Cirò in cui, quindi, non esiste una casa natale, tanto meno una mai menzionata in alcun testo, fontana, frutto solo di ridicole castronerie che solo danneggiano la fede e ogni senso del sacro, non parliamo poi dell’immane danno culturale al territorio. 
Nel bios viene altresì riportata la data di morte del Santo, 12 marzo all’età di 70 anni, mentre non si fa menzione di alcuna data di nascita. La festa liturgica di S. Nicodemo, dunque, è disposta al 12 Marzo. La studiosa Melina Arco Magrì (4) colloca la data di nascita di S. Nicodemo, tra il 950 e il 955, e quella di morte a poco dopo il 1020. Uno studio fatto dalla Follieri e dalla Perria (5), evidenzia come la trascrizione dell’indizione del 1020 deve essere corretta riportandola al 1010/1012 e così la data di nascita deve arretrare verso il 940.

Da dove si evince il luogo di nascita?
Sulla vicenda legata a S. Nicodemo, vi è un documento prezioso - atto del notaio Giuseppe Fortuna del 14 gennaio 1696 -, che si trova nell’Archivio di Stato di Catanzaro, fogli 1-2v del relativo protocollo. D. Carlo Francesco Spinelli, Principe di Tarsia e Marchese di Cirò - il Feudo di Cirò nel 1569 venne messo in vendita e acquistato dalla famiglia Spinelli di origine napoletana -, avanti al notaio, al regio giudice e ai testimoni, presenta una reliquia, cioè una mascella con due molari del Corpo di S. Nicodemo, che visse nella terra di Mammola. Trattandosi di un Santo cui molti si rivolgono per ottenere miracoli e che per giunta si diceva cittadino di Cirò, detto Principe, volendo anche dimostrare il suo ‘paternum affectum’ verso questa cittadina, promette di consegnare la sopraddetta reliquia ai suoi abitanti; la consegna avverrà purché la reliquia stessa venga custodita in una ‘capsula argentea’ che sarà donata dal medesimo Principe, da chiudersi con due chiavi diverse e da tenersi nella chiesa matrice in un luogo idoneo alla venerazione; le due chiavi dovranno rimanere in possesso, rispettivamente, dell’arciprete e del sindaco. Il popolo di Cirò, all’unanimità decide di proclamare S. Nicodemo suo Protettore e Patrono. Al documento notarile è allegata la lettera autografa, di Apollinare Agresta, Abate Generale Basiliano, diretta all’“Ecc.mo Signor Principe di Tarsia”, cioè a D. Carlo Francesco Spinelli, che appunto gli aveva chiesto la reliquia: Messina 15 Agosto 1695. Altri due documenti sono riportati sull’autenticità della reliquia in questione, e sulla profonda devozione a S. Nicodemo. Segue, ancora, l’esposto del sindaco dei nobili di Cirò, diretto a D. Francesco Verchio, vicario generale della diocesi di Umbriatico, a quel tempo dimorante nel palazzo vescovile di Cirò. Il vicario diocesano, visti gli attestati sull’autenticità della reliquia prelevata dal Corpo di S. Nicodemo, custodito nel monastero basiliano di Mammola, e sulla venerazione verso tale Santo, in data 14 gennaio 1696, concede il suo beneplacito su quanto sopra richiesto dal sindaco (6).

Ergo: la consegna delle reliquie si verifica per interessamento del feudatario del tempo, il Principe D. Carlo Francesco Spinelli, e non a titolo di transazione tra le due Università di Cirò e Mammola e, cioè, come conclusione di un processo che mai ci fu per la custodia delle spoglie mortali di S. Nicodemo. E, come risulta dal documento, la proclamazione di S. Nicodemo a Patrono e Protettore di Cirò, avviene il 14 gennaio 1696. Ne consegue che, il culto che vuole S. Nicodemo nativo di Cirò non è antichissima, affonda le sue radici nella seconda metà del XVII secolo; dal documento notarile, su citato, risulta chiaramente che il popolo di Cirò volle proclamare S. Nicodemo suo Patrono e Protettore proprio perché convinto, in assoluta buona fede, che fosse suo concittadino. Per cui si può dedurre che il popolo stesso non aveva conoscenza di S. Nicodemo, tanto meno dell’esserne concittadino almeno fino al 1663, anno in cui elesse S. Antonio di Padova a suo Protettore e, per giunta, dopo che nel 1634 aveva già eletto un altro Santo Patrono, cioè S. Francesco da Paola. Inoltre, in un documento del 1769 (7), custodito nella Biblioteca Nazionale di Napoli, recentemente rinvenuto, troviamo argomento significativo per la storia di Cirò, utile anche alla conoscenza nella Comunità del tempo, del culto di S. Nicodemo. Tale documentazione narra particolarmente le vicende legate alla Chiesetta sotto il Titolo di S. Cataldo. Dal prezioso documento emerge molto di più di quello che narra: ci troviamo nel 1641, anno che ci permette di aprire uno squarcio sul tempo storico legato alla conoscenza di S. Nicodemo. Vi leggiamo: Vi fu nella Città di Cirò una Cappella col titolo di S. Cataldo, la quale abbandonata e non curata incominciò a rovinare; così che ne’ principi del secolo passato ritrovavasi già diruta. Quindi, la chiesetta di S. Cataldo, esisteva già, e Pietro Trusciglio, che ne richiese padronato, mosso da pia devozione, volle riedificarla. A Cirò, nel 1641 S. Nicodemo non era nemmeno conosciuto, mentre S. Cataldo sì, e in un tempo ancora precedente, cioè ne’ principi del secolo passato. È noto, infatti, che il testo di Apollinare Agresta, il primo ad avanzare l’ipotesi - rinvenuta errata - che a Cirò fosse nato S. Nicodemo, è avvenuta nel 1677, quindi prima di questa data, la notizia di Nicodemo cittadino di Cirò non era affatto conosciuta, tanto meno a Cirò in cui, e solo il 14 gennaio 1696 viene proclamato Patrono e Protettore.

Perché questa comparazione con il tempo di culto di S. Cataldo? Semplice: in seguito al rinvenimento di un dipinto (8) nella Chiesa di S. Giovanni Battista in Cirò, si è voluto attribuire impropriamente e forzatamente il nome di Nicodemo, ma il dipinto rinvenuto è, e rappresenta, un Santo Vescovo, e l’affresco risale al XV secolo. Esegesi critica del dipinto dimostra l’inappropriatezza dell’abuso di attribuzione di nome. Chiaramente, dalle date di riferimento e segni che presenta, il soggetto del dipinto non può essere S. Nicodemo, ma un Santo Vescovo e, il Santo Vescovo Cataldo che è conosciuto in Cirò ne’ principi del secolo passato al 1641, trova evidentemente il suo posto e onore nelle Chiese.

Dunque, prima della pubblicazione del libro di Apollinare Agresta, stampato nel 1677, la notizia di Nicodemo cittadino di Cirò non era conosciuta. Tanto è vero che, Gabriele Barrio nel 1571, in De antiquitate et situ Calabriae, parla di S. Nicodemo di Locri, e Girolamo Marafioti nel 1601, in Croniche et Antichità di Calabria, scrive: è stato nativo cittadino Locrese il Beato Nicodemo monaco dell’ordine di S. Basilio; e ancora, ricorda Gallucci, nel 1630 Paolo Gualtieri, in Glorioso trionfo over Leggendario dei Santi di Calabria, lo menziona come S. Nicodemo di Mammola. Se a tali studiosi, ai loro tempi, fosse stato noto che S. Nicodemo era originario di Cirò, lo avrebbero riportato, come pure ne avrebbe dato notizia Ottaviano Pasqua, vescovo di Gerace che, invece, ebbe modo di indicare S. Nicodemo come cittadino di Gerace - Civis …Hieracensis fuit - nell’Editto che emanò nel 1588 in occasione della seconda traslazione delle reliquie del Santo e, cioè, dalla chiesetta di S. Biagio, che sorgeva presso l’abitato di Mammola nell’attuale cimitero, alla nuova chiesa abaziale costruita nel 1583.

Da dove, quindi, l’Agresta apprese la notizia che S. Nicodemo fosse nativo di Cirò? Consultò, probabile, il bios di S. Nicodemo, trascritto dal calligrafo Daniele. Nell’antico manoscritto, Agresta apprese che S. Nicodemo nacque nelle saline (en salinais), in un villaggio denominato Sikròs. Cirò, in tempo antico, era suddivisa in più frazioni, una delle quali veniva indicata con l’appellativo Ipsycrò o Psycrò; era noto che non lontano da tale cittadina, esistevano le saline del fiume Neto; d’altra parte non si avevano notizie del villaggio di Sikròs. In questo stato di cose l’Agresta, in perfetta buona fede, ma forse con un pò di approssimazione, fu indotto a identificare Sikròs con Psycrò e le saline del fiume Neto con le saline menzionate nel bios di S. Nicodemo. E, circa le saline, si tratta di un territorio geograficamente molto articolato, che include la costa, con centri portuali come Taurianum, la pianura, Piana di Gioia Tauro, la montagna, Aspromonte, e i fiumi, tra cui il Metauro-Petrace. Nel 1954 Giuseppe Schirò tradusse dal greco e pubblicò la Vita di S. Luca, vescovo di Isola Capo Rizzuto, il cui manoscritto, composto fra il 1116 e il 1120, si conserva nel codice 29 della biblioteca universitaria di Messina. Vi si legge precisa indicazione sull’ubicazione del territorio delle saline: “Nella regione calabra delle Saline (Chora Salinòn) vi è un paese chiamato Melicuccà”, cioè la patria di S. Luca; quindi le Saline si trovavano nell’attuale provincia di Reggio Calabria, nel versante del mar Tirreno. Ma perché si avesse piena convinzione dell’errore geografico commesso dall’Agresta, bisogna aspettare il 1962, anno in cui Giuseppe Rossi Taibbi pubblicò il testo greco del Bios di S. Elia il Giovane, che costituisce una pietra miliare nel campo dell’agiografia bizantina. L’autore dopo aver esaminato le varie fonti storiche in cui è menzionata la regione delle Saline - Vita di S. Elia il Giovane, Vita di S. Luca d’Isola, Vita di S. Filareto, Vita di S. Nicodemo, Vita di S. Elia lo Speleota, Le cronache di Goffredo Malaterra, un cronista normanno del secolo XI -, conclude che il territorio delle Saline corrispondeva al circondario di Palmi, per cui il villaggio di Sikròs, ricorrente pure in due passi della Vita di S. Elia lo Speleota, non può essere identificato con Cirò. Inoltre, che le Saline ricorrenti nelle agiografie sopra indicate, non sono quelle del fiume Neto, lo conferma anche il fatto che queste ultime, sin dai tempi antichi, vengono indicate con la specifica ‘del fiume Neto’ -salina Neti-, specifica che non esiste nelle agiografie medesime. In Vita di san Nicodemo di Kellarana, Melina Arco Magri scrive: nel bios si legge che la famiglia del Santo dimorava in Saline, in un villaggio chiamato Sikròs. Si trattava di un borgo della Valle delle Saline, vale a dire dell’attuale Piana di Gioia. Sikròs sorgeva nei pressi di Palmi, nella località denominata Sigrò. Nel volume Storia dell’Italia bizantina (VI-XI): da Giustiniano ai Normanni, di Salvatore Cosentino, è menzionato Nicodemo di Cellerana, senza alcun riferimento a Cirò, e si afferma che fosse nato a Sigrò presso Palmi, nella Calabria Citeriore. Se quanto esposto non fosse sufficiente a fugare ogni residuo dubbio, giungono a supporto 47 pergamene greche del periodo 1050-1065, relative alla diocesi di Oppido, pubblicate dallo storico francese André Guillou nel 1972 (La Théotokos de Hagia-Agathè, Oppido, -1050-1064-1065-, Città del Vaticano, 1972): in esse figurano cinque atti di donazione riguardanti beni situati nel villaggio di Sikròs, nella regione delle Saline (eparchia Salinòn); tale regione, in linea di massima, corrisponde all’area geografica - circondario di Palmi - proposta da Rossi Taibbi, desunta dal confronto delle cartine geografiche pubblicate dai due studiosi. Ne deriva che S. Nicodemo è originario di Sikròs.

La Storia che cambia la storia
. La ricostruzione dell’Agresta presenta diverse lacune storiche, probabile abbia attinto a tradizioni orali, o anche alla propria inventiva per arricchire il suo testo con dati e notizie, di cui d’altra parte, non troviamo riscontri. Lui fa riferimento per il luogo di nascita a Psycrò, definendolo ‘attuale Zirò’, ma la denominazione Cirò era già riscontrabile nel 1579, e ricordo che il testo sulla Vita di S. Nicodemo viene stampato nel 1677. Come riporta in un articolo Andrea Pesavento (9), secondo una nota al “Regesto” di Francesco Russo, il Convento dei Minimi di S. Francesco da Paola, in Cirò, fu fondato dal principe D. Giuseppe Spinelli e aperto dal provinciale P. Domenico da Paola. Il Convento fu fondato tra il 1579 ed il 1581 su intervento del feudatario di Cirò, Giuseppe Spinelli e il vescovo del tempo, o Vincenzo Ferreri (1578-1579) o Emiliano Bombini (1579-1592), concesse la chiesa dell’Annunziata, situata fuori le mura, previo il versamento annuo alla mensa vescovile di tre libbre di cera. La chiesa dell’Annunziata di Cirò era situata fuori mura, sulla via che congiungeva l’abitato alla via costiera. Essa era all’origine una cappella rurale, che si amministrava come un semplice beneficio e si alimentava di piccole elemosine e lasciti. “De anno 1579 ecclesia Sanctiss.ae Annunciationis sita extra muros in terra Cirò, cum de ea provisus existeret tanquam de Cappellania, et Rectoria beneficio seculari Praesbiter Thomas de Pace, per ordinarium loci fuit concessa sine consensu sedis Apostolicae coenobitis minimorum S. Francisci de Paula sub annua responsione trium librarum cerae pro concessione loci, non obstante protestatione tunc temporis possidentis in preiudicium sedis Apostolicae, et ordinariorum, quoad futuram collationem”. Così si esprimeva il vescovo di Umbriatico Alessandro Filaretto Lucullo nella sua relazione del 1600. (SCC. Rel. Lim., Umbriaticen. 1600, f. 125). Papa Gregorio XIII con breve del 28 agosto 1584, confermava l’erezione del Convento: “Ad perpetuam rei memoriam. Confirmatur erectio conventus Fratrum Minim. S. Frac. De Paula in terrà Cirò, Umbriaticen. Dioc.”. Come è evidente la definizione di terra di Cirò era già nota nel 1579, confermato -anche dal breve di Papa Gregorio XIII del 1584. Potremmo chiederci perché Agresta volle ripescare atavico riferimento saltando questo dato conosciuto, in uso, non menzionandolo. Non è dato sapere, come non sappiamo, altresì, da dove l’Agresta abbia preso le notizie che scrive nel suo libro circa i nomi dei genitori, a suo dire Theofano e Panta. Nel bios non sono riportati, tanto meno il cognome, frutto di aggiunta prodotta da Zavaglia, né le condizioni economiche familiari, per cui quanto si dice di più, è frutto di accurata enfatica devozione, ma non di dato storico. Tanto più riguardo l’uso del cognome, il cui periodo di origine consegue all’applicazione dei decreti del Concilio di Trento nel 1564. È evidente che, con S. Nicodemo, siamo in un tempo assai diverso, per cui è pura fantasia attribuirgli cognome, come fantasia è il precettore Galatone, di cui non c’è alcuna menzione nel bios.

Cirò, comunque, dal 𝟏𝟔𝟗𝟔, anno in cui viene proclamato Santo Patrono e Protettore di Cirò, mantiene il culto verso s. Nicodemo. La documentazione notarile su menzionata, inoltre, certifica l’attribuzione e consegna delle Sante Reliquie, richieste e ottenute civilmente -senza alcuna disputa- dall’allora Principe feudatario D. Carlo Francesco Spinelli. Orgoglio per Cirò sarà offrire ai fedeli che venerano il Santo, ma anche a tutti coloro che si volessero accostare alla sua potente spiritualità, la possibilità di venerarne Reliquia attualmente custodita nell’oratorio dedicato a S. Nicodemo, sito nel zona Portello di Cirò, ottenuto dalla trasformazione di una casetta appositamente offerta dal proprietario con atto di donazione al Comune del 22 luglio 1843, per notar Iuzzolini Emilio, documento a tutt’oggi conservato nell’Archivio notarile di Catanzaro. Ma luogo preposto delle Reliquie era, e deve essere, Chiesa Madre S. Maria de Plateis.

La tradizione popolare ha creduto, in totale buona fede, che il Santo fosse nativo di Cirò, arricchendone la vicenda con amplificati racconti e leggende. La verità, desunta da ricerca storica, ha appurato che il luogo natio di S. Nicodemo è Sikròs (RC).

La Storia cambia la storia, e a Cirò la storia è cambiata, sotto molti punti di vista, apre al concetto nobile di edificazione culturale, lasciandosi conoscere, appurando verità, trasgredendo sistemi volutamente ingessati ai navigati retaggi gattopardeschi, impenetrabili per incongruenza che contraddicono il senso proprio di ogni ricerca che, in sé, è continua evoluzione. È la storia che cambia culture sistemiche, offrendo la possibilità di altro da sapere, da approfondire, potenziandone sviluppo. Cambia la storia in dato istruttivo che si tramuta in rispetto, nel caso di specie, al Santo e alla Cultura del territorio. Ogni sana valorizzazione, capace di edificare umanità, parte proprio dalla Cultura. S. Nicodemo, a Cirò non è nato, né mai vi è stato, ma perdura la devozione verso il Santo Patrono e Protettore. E, se da una parte, un errore, quale quello dell’errato luogo natio, può destabilizzare convinzioni, quelle meramente interessate ad altro, oltre che a insultare la storia, dall’altra parte l’unico elemento che nobilita i territori è la verità che rende liberi da errori e orrori, rafforzando relazioni e rapporti con il luogo in cui Nicodemo ha vissuto, e cioè Mammola. È un richiamo a emanciparsi da stereotipi che imprigionano sapere poiché la storia cambia la storia.

Maria Francesca Carnea

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1 - Maria Francesca Carnea, San Nicodemo monaco di Calabria. Fuoco manifesto di magnanimità, Rivista di Ascetica e Mistica - 1/2018, Ed. Nerbini, Firenze.
2 - Domenico Minuto, (Traduzione di), Vita di San Nicodemo / Monaco Nilo; introduzione, commento e note di p. Ernesto Monteleone, eremita, Reggio Calabria, Città del Sole, 2010.
3 - Apollinare Agresta, Vita di S. Nicodemo abbate dell’Ordine di S. Basilio Magno, Nella stamparia di Gio. Battista Bussotti, Roma, 1677.
4 - Melina Arco Magrì, Vita di san Nicodemo di Kellarana, Istituto di studi bizantini e neoellenici, Roma, 1969.
5 - Enrica Follieri, Lidia Perria, La data del più antico documento per S. Nicodemo di Cellarana e l’espressione grafica dell’indizione, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, n.s. XL (1986), pp. 113-149.
6 - Maria Francesca Carnea, San Nicodemo da Sikròs. Monaco eremita del Kellarana, IlTesto ed., 2021.



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