Nasce a Ferrara il 21 settembre 1452, muore a Firenze il 23 maggio 1498. Egli non è solo un autore, frate predicatore domenicano, non è solo una figura politica, un profeta. Non può essere ridotto a un’unica dimensione, ma le comprende tutte, e il suo carisma è capace di dividere e di suscitare discussioni accese. Cuore della sua ambizione è il rinnovamento spirituale e morale. La predicazione e sollecitudine spirituale accompagnò sempre l’azione politica di Girolamo Savonarola che, proprio nell’esortazione al bene comune, ad una giustizia giusta nei confronti di tutte le componenti della società, trovava il suo fondamento e la sua ragion d’essere. Fustigatore dei vizi e del mal fare, della corruzione e decadenza morale della Chiesa, predicava la penitenza, sollecitando le coscienze a reagire come sola via di salvezza. Savonarola fece valere la sua più completa, piena, autonomia. Sosteneva che solo un cambiamento nei costumi e un vero rinnovamento della società avrebbero evitato il castigo divino.
Per capire di fr. Girolamo, occorre però entrare nell’intimo del suo modo di essere, ritornando al suo tempo. Fedele, dall’insegnamento del suo maestro Tommaso d’Aquino, Savonarola ribadì sempre che la grazia della profezia è conferita gratuitamente da Dio, non comporta benefici al profeta ma alla Chiesa e non diviene caratteristica permanente. Come ebbe a dire in una predica, Dio è l’artefice e il profeta lo strumento, che fa quel che deve secondo il disegno e la necessità che solo l’artefice conosce.
Gli attacchi e le invettive lanciate quasi quotidianamente contro la corruzione e l’immoralità di Roma e papa Alessandro VI Borgia, indussero il papa a vietare a Savonarola la predicazione. Con il breve del 21 luglio 1495, lo convocava a Roma per giustificarsi. Il frate rifiutò, adducendo motivi di salute e di sicurezza, ma gli fece recapitare il Compendio di rivelazioni, nel quale avrebbe trovato tutte le ragioni del suo comportamento. Il papa non gradì, e con un nuovo breve, l’8 settembre, lo accusò di disobbedienza, eresia e di pronunciare nuovi falsi dogmi. Ma Savonarola non demorde, ciò che lo spinge alla sollecitazione e a rendere le coscienze reattive e riformare Firenze, è la prosecuzione della sua missione. La sua fede era salda in Dio e non negli uomini.
Nel tentativo di farlo tacere, Roma giunse ad offrirgli il cappello cardinalizio, come egli stesso ebbe occasione di denunciare dal pulpito il 15 agosto 1496, ma la sua risposta fu che egli desiderava sì un cappello rosso, ma quello di sangue e del martirio. Allo scopo di neutralizzare il frate ribelle, libero da costrizioni che non condivideva, senza creare problemi con Firenze, Alessandro VI decise allora di aggirare l’ostacolo con la creazione di una nuova Congregazione. Ma il 22 maggio 1497, Alessandro VI firmò il breve di scomunica che fu affisso alle porte delle chiese il 18 giugno. Savonarola, impeditagli la predicazione, si difese ancora una volta, attraverso la stampa: pubblicò così in sua difesa, immediatamente prima e subito dopo la pubblicazione del breve di scomunica, alcune lettere circolari: A tutti gli eletti di Dio e fedeli cristiani, A certe persone divote e perseguitate per la verità da lui predicata, A tutti li cristiani e diletti di Dio contra la escomunicazione surrettizia nuovamente fatta, Epistula contra sententiam excomunicationis contra se nuper iniuste lata, e due trattati, il Triumphus crucis e il De veritate prophetica, nei quali rivendica la sincerità e profondità della propria fede.
A Firenze, in piazza della Signoria, in seguito alla scomunica, fu impiccato, bruciato sul rogo, come “eretico, scismatico e per aver predicato cose nuove”. Le ceneri furono sparse nell’Arno. Da allora, ogni anno, il 23 di maggio la “fiorita” ricorda ai cittadini di Firenze la morte di Girolamo Savonarola e il suo sogno di fare della città la nuova Gerusalemme, nel nome di Cristo. Rimane ammirevole l’ardimento di un uomo savio, votato al Sommo Bene e nel nome del Sommo Bene ha operato nella Chiesa, nella politica, nella società relativista, in essi il dissoluto e sfrontato agire, per molti versi, è ancora oggi presente. Di un così ardito, deciso cuore, penetrante intelletto, non si può non rimanerne affascinati. La modernità ha bisogno di testimoni integri, di scosse morali che fuggano la mondanità, innestandosi in un nuovo, rinnovato umanesimo, degno d’essere vissuto.
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