Non molto spesso è chiara e
consapevole nel fedele laico la posizione che, nel contesto della società
Chiesa e della società civile, viene ad assumere o ad esercitare; né molte
volte si riesce a comprendere quanto la sua presenza possa essere utile e
armonica nel completamento del disegno salvifico di Dio; sfugge anche che, come
previsto nel can. 208 del Codice di Diritto Canonico, "Tra tutti i fedeli
sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell'agire".
I laici
derivano il dovere e il diritto all'apostolato dalla unione con Cristo; recita,
infatti, il can. 204: "I fedeli sono coloro che, incorporati a Cristo
mediante il battesimo, sono costituiti Popolo di Dio"; fortificati inoltre
dalle virtù dello Spirito Santo per mezzo della cresima, sono deputati dal
Signore stesso all'apostolato. L'elaborato di questo lavoro si propone di
mettere in risalto un'indagine riflessiva volta a considerare come "nella
compagine di un corpo vivente nessun membro si può comportare in maniera
puramente passiva, ma insieme con la vita del corpo ne partecipa anche
l'attività ... In questo corpo è tanta l'armonia e la compattezza delle membra
(Ef. 4, 16), che un membro il quale non operasse per la crescita del corpo
secondo la propria attività, dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se
stesso".
A volte, una visione
prevalentemente gerarchica lascia poco spazio alla dimensione personale del
fedele e alle situazioni giuridiche derivate da questa dimensione, nei suoi aspetti
individuali e collettivi. Il fedele laico, seguendo anche quelle che sono le
prospettive aperte dal Concilio Vaticano II, e senza escludere le relazioni
istituzionali fra società giuridicamente organizzate, si apre al mondo
attraverso la sua vita, il suo esempio, il suo apostolato. Si può dire che
nella centralità ecclesiale e umana del "Christifidelis, civis ac christianus",
si trova il perno delle nuove prospettive dello "Ius publicum
ecclesiasticum externuum".
Il servizio alla persona umana è
il punto di contatto tra Chiesa e Comunità politica, poiché entrambe,
ovviamente sotto profili diversi, hanno come oggetto lo sviluppo integrale
della persona. Note sono le parole del Concilio Vaticano II che affermano la
missione dei laici nei confronti delle realtà temporali: "Per loro
vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose
temporali e ordinandole secondo Dio".
Espressioni e concetti simili si
ripetono anche in altri documenti conciliari.
Il significato dell'espressione
"cose temporali" viene descritto in modi diversi: sono "gli
impieghi e gli affari del mondo", le "ordinarie condizioni della vita
familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta"; oppure
"i beni della vita e della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le
professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali
e altre simili".
Si vuole provare a comprendere,
pertanto, il ruolo, il possibile esercizio attivo del laico nell'ordine
pubblico, lo stato del fedele laico nel contesto della società Chiesa e, dunque,
contemporaneamente, nella società civile, le cui profonde trasformazioni, conseguenza
di evoluzioni culturali, economiche e sociali dei popoli, finiscono per esercitare
una grande influenza nella vita della comunità politica, soprattutto nel campo che
riguarda i diritti e i doveri di tutti nell'esercizio della libertà civile, nel
conseguimento del bene comune e nel campo che si riferisce alla regolazione dei
rapporti dei cittadini tra di loro e con i pubblici poteri.
Una coscienza più viva della
dignità umana nei diversi ruoli ed uffici, sarebbe lo sforzo capace di
instaurare un ordine pubblico-giuridico in cui verrebbero meglio tutelati nella
vita pubblica i diritti della persona. Tuttavia, per instaurare una vita
politica veramente umana, il bisogno primo è quello di coltivare il senso
interiore della giustizia. Si parte da una realtà che porta
a considerare come, nell'essere incorporati al Corpo di Cristo, alla Chiesa
dunque, si possa esercitarne il dovere di appartenenza, nel diritto di uguaglianza
e nel rispetto delle diversità degli uffici e, nel fedele, non essendo sempre chiara
questa posizione di esercizio, credo sia opportuno darne un quadro evidenziando
gli stessi supporti che il Codice di Diritto Canonico ci offre. Il bisogno di
capire diviene conseguenza di un bisogno di chiarezza.
Il can. 747 ci ricorda che
"La Chiesa ha il dovere e il diritto nativo di predicare il Vangelo a
tutte le genti; è suo compito annunciare i principi morali circa l'ordine
sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in
quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana".
Dall'indole sociale dell'uomo
appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della
stessa, sono tra loro interdipendenti. Spesse volte, però, sfugge la coscienza
di ciò che si è, sempre per amore di chiarezza, trovo opportuno riprendere la
definizioni che, nel raffronto con la modernità, può essere altamente persuasiva.
Penso, alla definizione di persona, trasmessaci da S. Tommaso d'Aquino: "sostanza
individua di natura razionale", il che importa capacità d'intelletto
ed espressione di volontà. Sappiamo come oggetto dell'intelletto sia la verità
e, oggetto della volontà sia il bene. Rappresentano questi due elementi
fondamentali quel motore capace di rendere l'uomo cosciente di se
e, nello stesso tempo, di poter operare in nome di verità per il bene comune. Il rispetto della persona non è
solamente un portato del Vangelo, ma anche un portato della virtù cardinale,
della giustizia. Come modalità di relazione intersoggettiva, il diritto si
struttura come specifica risposta alle esigenze ontologicamente oggettivabili
della coesistenza; il diritto, laico nel suo principio, riconosce le spettanze
dell'uomo in virtù della sua dignità di essere umano. Fondamentale a questo
riguardo è l'opzione per la libertà che caratterizza lo spirito laico: opzione
che chiede l'appoggio essenziale del diritto, poiché non esiste esperienza
reale di libertà che non debba essere mediata attraverso la giuridicità. E' indubbio che, recita il
can. 748 §1: "Tutti gli uomini sono tenuti a ricercare la verità nelle cose
che riguardano Dio e la sua Chiesa"; e che, a norma del can. 225: "I
laici hanno il diritto di impegnarsi perché l'annuncio divino della salvezza
venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo. Sono tenuti, ciascuno
secondo la propria condizione, di animare e perfezionare l'ordine delle realtà
temporali con lo spirito evangelico".
La dottrina conciliare
sull'autonomia del temporale trova il suo riflesso nel can. 227: "È
diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città
terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di
tale libertà facciamo in modo che le loro azioni animate dallo spirito
evangelico, prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della
Chiesa, evitando di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come
dottrina della Chiesa". La fedeltà al magistero, alla
legge morale e ai principi della dottrina sociale della Chiesa è quindi
compatibile con molteplici modalità di applicazione concreta, lasciate alla
libera e responsabile scelta dei fedeli cattolici, nessuna delle quali può
essere assunta come quella che veramente corrisponde alla dottrina cattolica. "Il messaggio cristiano,
lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi
dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna
piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancor più stringente". Risulta
implicito, pertanto, considerare come i laici, collaborando come cittadini di
questo mondo, per ciò che riguarda la costruzione e la cura dell'ordine
temporale, debbano nelle vita familiare, professionale, culturale e sociale
cercare alti motivi dell'agire e dell'essere propositivi, attivi conformemente
alla stessa disposizione naturale che gli viene riconosciuta.
Il can. 208 recita: "I laici
che si distinguono per scienza adeguata, prudenza, onestà, sono abili a
prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli
a norma del diritto"; e, nel can. 212, si evidenzia come: "I fedeli
consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare ciò che i
sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della
fede; i fedeli sono liberi di manifestare ai Pastori il loro pensiero su ciò
che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salva
restando l'integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori,
tenendo inoltre presente l'utilità comune e la dignità delle persone".
Pertanto, "da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno
di noi metta a servizio degli altri il suo dono secondo che lo ha
ricevuto".
Questa diversità di uffici e di
stati prevede, come già evidenziato nel can. 208, una posizione di uguaglianza
tra tutti i credenti ed è proprio questa condizione che ci dona titolarità
nell'esercizio dei doveri e dei diritti.
S. Tommaso ci ricorda come:
"la diversità degli uffici e degli stati serve a tre scopi nella Chiesa:
- primo,
alla perfezione di essa;
- secondo,
questa diversità giova al compimento delle funzioni necessarie alla Chiesa. Infatti
per funzioni diverse bisogna incaricare persone diverse, perché tutto si compia
più speditamente e senza confusione. Qui l'Aquinate rievoca l'insegnamento
dell'Apostolo: "Come in un unico corpo abbiamo varie membra, e le membra
non hanno tutte la stessa funzione; così noi molti siamo un corpo solo in Cristo"
(Rom.12, 4, 5);
- terzo,
ciò è richiesto dal decoro e dalla bellezza della Chiesa, che risulta da un
certo ordine. Come nel corpo umano le diverse membra sono unificate dalla virtù
dello Spirito che lo vivifica, eliminato il quale le membra si dissociano, così
anche nel corpo della Chiesa la pace delle diverse membra è conservata dalla
virtù dello Spirito Santo che lo vivifica. La diversità degli uffici e degli
stati giova a conservare la pace, sia nell'ordine spirituale che in quello
terreno e civile: perché così sono molti a dedicarsi agli uffici
pubblici".
Viviamo oggi un periodo nuovo,
caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono
nell'intero universo; una trasformazione sociale e culturale che ha
necessariamente dei riflessi anche nella vita religiosa. Mutamenti, cambiamenti
a cui il fedele laico può apportare contributi sostanziali, di apostolato ancor
più intenso ed esteso, sentendosi sempre più obbligato a promuovere il vero
bene comune, facendo valere il peso della propria opinione in modo tale che il
potere civile venga esercitato secondo giustizia e le leggi corrispondano ai
precetti morali e al bene comune. Verrebbe però da domandarsi se è veramente
così chiaro che cosa sia precisamente il bene comune. Anche nella società più
illuminata e tollerante il bene comune ha pur sempre il diritto e la necessità
di difendersi contro l'arbitrio del singolo, opporsi ai suoi attacchi anche senza
il suo consenso, essere cioè in un certo senso intollerante, se per
intolleranza si intende l'imposizione di una situazione in nome della libertà
di un altro, senza il suo consenso. Si potrebbe dire che il concetto
reale di bene comune è a sua volta un'entità esistente nel flusso della storia,
che va continuamente ridefinito dalla società in un processo ininterrotto,
almeno per lo spirito e, soprattutto, per la coscienza morale del singolo, in
cui permane sempre il dubbio atroce di sapere secondo quali criteri e in quale direzione
egli debba assolvere responsabilmente il compito di ridefinire continuamente questo
nuovo concetto di bene comune e quindi anche il concetto di un dialogo
realmente possibile. In questo contesto il criterio di responsabilità, di
riflesso, fa capo alla coscienza della persona. Ogni uomo indagandosi scopre
una legge interiore che non è lui a darsi, ma alla stessa deve obbedire. Tuttavia,
essendo l'uomo essenzialmente un "animale politico", così come
definito da Aristotele, la dedizione per il prossimo non deve essere solo
inclinazione sentimentale, bensì anche un servizio semplice
di "amore" politico rivolto all'intera umanità.
E' da tenere presente che il
cristianesimo non lascia che la salvezza si compia solo nell'ambito
esplicitamente religioso, bensì in tutte le dimensioni dell'esistenza umana, quindi
anche là dove l'uomo non interpreta le sue azioni attraverso la riflessione
religiosa, ma ama con responsabilità assoluta e serve l'uomo in modo
disinteressato. L'atto di fede, per ogni fedele, diventa atto d'amore nel
momento in cui comprende la dimensione politica della sua fede e l'accetta con
impegno pratico.
S. Paolo ci ricorda:
"Quand'anche io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho
l'amore, non sono altro che un metallo sonante o un cembalo tintinnante"
(1 Cor. 13, 1).
L'uomo ha in realtà una legge
scritta da Dio dentro il suo cuore: "Obbedire ad essa è la dignità stessa
dell'uomo e, secondo questa, egli sarà giudicato". Nella Gaudium et Spes,
n.16, si ricorda come nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli
altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti
problemi morali che sorgono tanto nella vita dei singoli, quanto in quella
sociale e politica. Quanto più, dunque, prevale una coscienza retta, tanto più
le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio, al fine di
trovare un senso nel proprio esercizio attivo nell'ordine pubblico.
Con questa riflessione si è
cercato di evidenziare come, nel rispetto elle diverse posizioni di esercizio
funzionale nella Chiesa si possa, attraverso una complementarietà delle stesse,
provare a divenire ciascuno, frutto fecondo capace di rendere ricca ogni singola
partecipazione, soprattutto come espressione di una libertà dono implicito che,
S. Caterina da Siena ci ricorda essere: "Tesoro che Dio dona
nell'anima" e, dunque, quel concreto esercizio pratico di scelta destinata
al conseguimento del bene universale. Ciò porta anche a prendere coscienza di
come la libertà dei fedeli laici nell'ambito temporale abbia comunque dei
limiti, segnati dal dovere di fedeltà alla parola di Dio e alla sua interpretazione
autentica attraverso il Magistero. Un dialogo continuo permette una
comunicazione sempre più chiara ma, nello stesso tempo, è capace di essere
quell'esercizio pratico del messaggio evangelico, vivificato dallo Spirito
Santo che deve necessariamente rendersi operativo nella vita sociale, politica,
economica, dunque nella vita civile in genere e, nello stesso tempo, essere
vivificante nella vita della Chiesa in particolare. Il fedele laico è chiamato ad
essere amministratore della parola di Cristo in mezzo alla società umana e in
questa stessa deve saper apportare un alto contributo di sviluppo all'ordine
pubblico, mantenendo contemporaneamente una responsabilità attiva dentro tutta
la vita della Chiesa.
Cfr. testo integrale dell’articolo, corredato di
note: https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=sites&srcid=ZGVmYXVsdGRvbWFpbnxuZXZlc20yMDExfGd4OjIxNWRkZDU5NWM2MTE3MjM
[Foto: Scuola Peripatetica di Aristotele]
Nessun commento:
Posta un commento