sabato 24 aprile 2021

Nell’antica Chiesa matrice di Cirò, la bellezza di un ritrovamento

Il Comune calabro di Cirò (KR) – noto al mondo per l’antica raffinatezza del suo vino – vanta la bellezza di uno straordinario ritrovamento nella Chiesa di S. Giovanni Battista.

Durante lavori di ristrutturazione, è stato rinvenuto un dipinto straordinario, soprattutto per il particolare del medaglione centrale contenente la splendida raffigurazione del Cristo Patiens.

La bellezza di un ritrovamento suscita desiderio di comprensione. La singolarità alimenta curiosità, indagine.

Gli studiosi dell’arte, di iconografia, certamente aiuteranno a dare giuste risposte. Indagando la storia, possiamo intanto scorgere degli aspetti: il ritrovamento attrae, suscita curiosità per alcuni suoi segni evidenti. Tali segni inducono a porsi domande su chi sia il raffigurato e, soprattutto, sul come riesca, ancora oggi, a parlare; poiché dai segni stessi si potrà risalire a chi è il Santo Vescovo rappresentato.

È noto che il tema iconografico si sviluppò nell’Oriente bizantino, passando in Occidente in un secondo tempo, nel corso del XIII secolo. Un primo fattore di diffusione è da collegarsi alla presa di Costantinopoli avvenuta nel 1204. In seguito a questa, una quantità rilevante di icone e reliquie affluì nelle terre dei conquistatori.

Il Santo Vescovo del dipinto è contraddistinto da un’areola d’oro; ha per copricapo una bassa mitria; la mano destra in posa benedicente e la mano sinistra indicante un grande medaglione circolare, raffigurante il Cristo Patiens. Dall’affresco dunque, emergono tre segni importanti: la mitria, il Cristo patiens, il gesto benedicente della mano destra.

Mitria

Dai segni non si può prescindere, sono fondamentali per discernere i caratteri di appartenenza del tempo. Vediamo raffigurato un Santo Vescovo, come da fattezze si evince, e la storia narra che religiosi come monaci abati, non avessero in uso mitrie, almeno fino alla seconda metà del XII secolo. 

Gesto benedicente

Sappiamo che, a causa delle scissioni delle comunità cristiane, gli artisti prestarono molta attenzione a rappresentare correttamente anche le più piccole variazioni.
La Chiesa romana optò per un segno benedicente in cui pollice, indice e medio sono diritti verso l’alto con le altre dita piegate sul palmo. Le tre dita tese corrispondono al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo: la Trinità.

La Chiesa ortodossa, invece, adottò un segno più complesso. In cui ogni dito era posizionato in un particolare modo per formare il monogramma IC XC, abbreviazione del nome greco Gesù Cristo. Pertanto, nel segno benedicente della mano destra delle icone bizantine, il pollice tocca o sfiora l’anulare; l’indice è alzato verso l’alto; il medio e il mignolo sono lievemente piegati. Così la mano del prete forma le lettere iniziali e finali delle parole “Gesù Cristo”; ricordando l’associazione delle tre Persone della Trinità e le due nature di Cristo.

Ergo: nella raffigurazione del Santo Vescovo il segno benedicente non è conforme al rito bizantino. Bensì afferente al rito latino, di Santa Romana Chiesa.

Giungiamo all’elemento più rappresentativo

La mano sinistra indica lo splendido medaglione, contenente il Cristo Patiens che è la risposta di chi in questo dipinto è rappresentato. La devozione al Cristo Patiens dice il nome del soggetto raffigurato. Va da sé che i segni del raffigurato sono correlati e, per analogia, testo e contesto non possono avere un’interpretazione disgiunta l’uno dall’altro. Come per una conseguenza logica, storica, parlano del significato del ritratto: la sua caratteristica devozionale, centrata sulla figura del Cristo patiens.

Doppia natura di Cristo: umana e divina

Affermata nei grandi concili di Nicea (325), Costantinopoli (381) ed Efeso (431), fornisce il quadro per l’illustrazione della morte sulla croce del Figlio di Dio; fatto uomo per la redenzione dei peccati dell’umanità.

La raffigurazione del Cristo inchiodato alla croce, in cui i Padri della Chiesa vedevano il simbolo dell’universalità della redenzione, diviene centrale nell’arte medievale.

Nell’immagine si condensano concetti importanti: la vittoria di Cristo crocifisso sulla morte; la croce come segno di trionfo e di parusía; il ritorno di Cristo al tempo del Giudizio finale; l’analogia fra sacrificio eucaristico e sacrificio sulla croce.

È risaputo che la raffigurazione del corpo morto di Cristo, estrapolato da qualsiasi contesto narrativo, nasce in ambito bizantino con la definizione di Somma Umiliazione (άκρα ταπείνωσις). Tuttavia, lo sviluppo più significativo si ha in Occidente dove si parla di Cristo in Pietà o Imago Pietatis. Questa iconografia diventa di particolare attualità nel corso del quattrocento. Periodo in cui si affermano alcuni movimenti spirituali che sostengono e predicano la necessità di vivere secondo l’esempio di Gesù, Sequela Christi.

Effettivamente, in Italia, iniziò ad essere frequentemente associato a quella particolare categoria di istituti noti come Monti di Pietà, e altri enti di tipo assistenziale. Alla principale ragione di questa connessione verso il prossimo, o pietas, era accostabile la virtù morale della misericordia. Sentimento di compassione provato nei confronti degli altri, per via dei loro mali. La pietas è quindi affine alla carità, la principale tra le virtù teologali, ma viene distinta da essa per via della motivazione che spinge all’azione: la compassione per la sofferenza del prossimo.

In questo contesto, emerge il ruolo fondamentale della carità che, come indica S. Agostino: Amor Dei, amor proximi, Caritas dicitur. La virtù è quindi sostanziata da due elementi inseparabili; e l’oggetto principale dell’amore umano deve essere sempre Dio. Da questo sentimento nasce poi l’amor proximi, che altro non è che una conseguenza dell’amore per la divinità.

Ora, chi costruì la Chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, in Cirò, lo fece con precipua missione, impregnata di carità. Ciò spiegherebbe anche il significato spirituale e simbolico del perché racchiuda il Cristo Patiens.

Sofferente o Trionfante

Occorre pertanto considerare, con una piccola sintesi, la differenza tra il Cristo Patiens e il Christus Triumphans. Il primo, proprio della cultura occidentale; il secondo, afferente alla cultura orientale bizantina; come la storia dell’arte riporta. Il fascino della storia permette di ampliare orizzonti e verificare bellezza di culture e tradizioni da conoscere. Proprio per dare maggiore lustro e verità alla conoscenza, oltre che alla storia dei territori che della stessa si arricchiscono.

Un’importante distinzione, dunque, riguarda le tipologie figurative di Cristo in croce, adottate in sequenza e per un certo periodo conviventi.

Christus triumphans

È noto che l’iconografia del Christus triumphans prevede il Cristo eretto inchiodato alla croce con gli occhi aperti. Essa mantiene uniti i due momenti essenziali del mistero salvifico pasquale: la morte e la resurrezione di Gesù.

Alcune effigie lo mostrano con le mani spalancate nell’atteggiamento dell’orante e con gli occhi aperti: Christus crucifixus vigilans, segno della sua natura divina.

In alcuni casi è raffigurato su una croce di luce; secondo una consuetudine iconografica che unisce l’immagine del Cristo inchiodato sulla croce a quella del Redentore che torna nel giorno del Giudizio finale.

Trova poi nell’arte ottoniana una variante quale Cristo sommo sacerdote, sulla croce. Raffigurato in posizione eretta e vestito di una tunica, a mani aperte, inchiodato con quattro chiodi.

Sul finire dell’VIII secolo, Cristo può apparire su una croce d’oro decorata con perle e gemme preziose, Crux gemmata. Per rievocare, oltre al sacrificio, la luce della parusía.

A partire dall’XI secolo, tale tipologia si arricchisce agli estremi della croce con le immagini del tetramorfo, dal greco τετρα, tetra, quattro, e μορφη, morfé, forma. Si tratta di una raffigurazione iconografica di origine orientale, frequente nell’arte bizantina, costituita dall’insieme dei simboli dei quattro Evangelisti: un uomo alato, S. Matteo; un leone, S. Marco; un toro (o vitello), S. Luca; e un’aquila, S. Giovanni.

La tradizione iconografica si precisa, inoltre, attraverso interpretazioni che fanno capo all’abate Ruperto di Deutz, Monaco benedettino per il quale la croce è il simbolo della vittoria di Cristo; dunque del sacerdotium, purché Cristo sia raffigurato privo di segni di sofferenza e secondo i canoni di una bellezza ideale.

A partire dal XII secolo quindi, la croce di tipo latino si amplia sia alle estremità per mezzo di tabelloni, sia ai lati del Cristo; per ospitare scene dipinte della Passione.

Christus patiens

La prima immagine del Cristo morto risale all’VIII secolo. Come testimonia una tavola del Monte Sinai che raffigura Gesù col volto sereno e gli occhi chiusi. Ma è sul finire del XII e inizi del XIII secolo, che si comincia a sottolineare la sofferenza fisica di Cristo; con l’iconografia del Christus patiens.

Già con S. Anselmo d’Aosta, teologo e dottore della Chiesa, si hanno i presupposti per una rappresentazione del Cristo crocifisso sofferente e morto. Ma è soprattutto con S. Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’abbazia cistercense di Clairvaux, che il Cristo crocifisso diviene il punto di partenza della meditazione mistica. Bernardo vede nella vita di Cristo una via di dolore che conduce alla croce.

Ecco che, la mistica della sofferenza e della croce diviene un momento centrale della riflessione cristiana, soprattutto per opera dei Francescani. Promotori di una religiosità umanizzata, contraddistinta dalla componente emotiva, i Francescani ricorrono spesso a immagini che, attraverso un linguaggio emozionale, possano toccare e commuovere il fedele; avvicinandolo alla Chiesa.

In genere si fa risalire il primo esempio di Christus patiens alla croce monumentale oggi conservata nel Museo di San Matteo a Pisa. Per l’espressione serena del volto, è stata avanzata l’ipotesi che si tratti di una variante iconografica del Christus dormiens; in attesa della resurrezione, secondo la liturgia del Sabato santo.

Con ogni probabilità sempre in ambito francescano nasce la variante, poi molto diffusa, del Cristo inchiodato con soli tre chiodi: uno solo per i piedi fra loro sovrapposti. Il Cristo sofferente ha la testa reclinata sulla spalla e gli occhi chiusi, mentre il corpo si abbandona al peso della morte.

Forse uno dei primi a recepire questa novità iconografica è Giunta Pisano. Di Giunta resta l’esempio del Crocifisso della Basilica di San Domenico a Bologna (1250). In cui il corpo del Cristo è inarcato contro un tabellone privo di scene figurate.

Il maggior naturalismo nella resa del Cristo porta ad abbandonare progressivamente le scene tratte dalla vita ante e post mortem, poste ai lati del corpo. Sostituite in un primo momento da una trama simile a un tappeto, come proposto da Cimabue nel Crocifisso di Arezzo (1260-1265) e in quello di Santa Croce a Firenze (1270), vennero infine eliminate. Fino a ricondurre la croce alla sola figura di Gesù. In questo senso si pongono le croci di Giotto, in cui il Christus patiens trova declinazioni sempre più realistiche, di grande impatto visivo ed emozionale.

Concludendo…

L’iconografia del Christus triumphans, di derivazione bizantina, assumerà connotati diversi, e si evolverà in quella successiva, di genesi latina, del Christus patiens. 

Ciò segnerà l’introduzione della manifestazione dei sentimenti nell’arte occidentale. Va da sé che la bellezza nascosta anela d’esser comunicata nel fascino dell’arte che la cultura custodisce.

Cirò, la sua antica Chiesa matrice, S. Giovanni Battista, si arricchisce di un bene artistico dai segni latini: un dipinto murale da visitare, certamente da restaurare; di sicuro già prezioso per il territorio. La storia si svela e rivela nella Verità. L’uomo è chiamato a edificarsi nella comprensione della conoscenza, e fortezza sgorga da quegli intelletti che sapranno penetrarne contenuti.






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