martedì 3 aprile 2012

L’Amore che si comunica, cuore del mistero cristiano



Nel Getsemani, fuori la città vecchia di Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, Gesù si ritirò dopo l'ultima cena. “... doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2, 17-18).  

Il Maestro disse: «Per breve tempo ancora starò con voi; dove andrò, né i Giudei, né voi potrete venire, vi devo aprire la strada. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 33-35). Tommaso domanda: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». La risposta che Gesù dà è del tutto inattesa: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Gv 14, 5-7).

La novità racchiusa dalle parole di Cristo è questa: il Padre era la via, la verità e la vita, gli uomini la percorrevano non nella qualità di figli, ma come parti di un popolo eletto, schiavi o servi di un assoluto Signore, monadi di un’unica e sovrana coscienza nella quale si sarebbero amalgamati dopo aver gustato l’illusione delle apparenze dell’esistenza. Ora, nella realtà cristiana, la via, la verità, la vita è il Figlio, e il Figlio è la nuova rivelazione del Padre, gli uomini raggiungono l’Assoluto, l’Infinito assumendo la piena e chiara coscienza di essere figli di Dio. Non più schiavi, servi, ma figli. Originalità impegnativa per ognuno.

La crocifissione di Gesù, con la conseguente morte in croce, è l'evento finale della sua vita terrena. Si compie la redenzione da parte di Dio degli uomini, che, con il peccato originale, si erano preclusi la salvezza e la beatitudine eterna. È l’esaltazione dell’amore dell’Amato!
La coscienza della figliolanza divina costituisce il punto centrale, essenziale dell’originalità cristiana. Ogni coscienza umana, nella riverenza del Figlio, è chiamata a porsi in assoluta esclusività di fronte all’Infinito, a mantenersi ferma con la sola forza del suo io cosciente, per raggiungere il riscatto da ogni effimera costrizione e vivere la libertà dei figli di Dio. 
Nel mondo giacente, il Figlio ha introdotto il movimento, il dinamismo, la via che si apre alla coscienza di essere figli. Le parole: «Chi vede me vede il Padre», sono un invito ad assumere, decisamente e coscientemente, la statura di figli di Dio, a valicare il confine che separa la morale di soggezione dall’etica di emancipazione, che rende inutili tutti i legami terreni.

Il verbo si fece carne, il verbo è intriso nella natura creata, e si manifesta vivificante nella sua potente espressione rassicurante. Sguardi vagabondi affollano il cosmo, e non si accorgono di ciò che rischiara la vista, il Verbo che si fa carne, la Parola che incanta e, risoluta, scruta la profondità cosmica. La raffigurazione dell’Uomo Crocifisso, della suprema passione di Nostro Signore, è incarnata nel creato della natura. Nelle fattezze di un ulivo pietoso si dipana la passione di Gesù, l’ulivo che pare narrare il suo afflato d’abbandono, in esso si dispiega l’impeto estremo di affidamento anelante risposta e speranza.

Cristo in Croce, quell’albero dice, Cristo giace, in quell’albero chino, Cristo tenero col capo reclinato a significare l’abbandono umano e la vita eterna che, amante, mai sola lascia. Anelito di passione, verace raffigurazione di cui la natura si rende malleabile espressione, nel piccolo Getsemani, nell’albero della Vita quale l’ulivo è. Segno indiscusso dell’imperscrutabile, segno indelebile dell’amore, della passio e poièsis dell’anima di ogni uomo che nella Via trova rifugio, nella Verità scorge l’amore corrisposto, nella Vita incontra la bellezza che sovrasta, nella Resurrezione la speranza e la certezza senza fine per la salus animarum.

L’uomo, creatura amabile poiché amata, nella sua intelligenza, volontà, affettività, personalità può rendersi dono, dono reciproco e assoluto. L'amore tende a tale pienezza di comunione, a questo ci chiama, soprattutto se, come S. Paolo ricorda: «Non sono più io che vivo ma è il Cristo che vive in me» (Gal 2, 20). Tale desiderio sfocia in una forte certezza: la reciproca appartenenza non può essere infranta neppure dal nemico della vita e dell’amore, e cioè dalla morte.

Asserisce S. Caterina da Siena: «Quando ci ha creati Dio ha preso dalla sua madia una pasta di amore e ci ha impastato di amore. Siamo tutti dei mendicanti di amore. Qui la nostra verità, la nostra forza e la nostra debolezza. Essere significa amare».
Per ancor più penetrare in pienezza la comprensione dell’amore, dichiarava il vescovo Baldovino di Canterbury: «Forte è la morte perché è capace di privarci del dono della vita. Forte è l’amore, che è capace di ricondurci a un uso migliore della vita. Forte è la morte, che è in grado di spogliarci del vestito di questo corpo. Forte è l’amore, che è capace di strappare le nostre spoglie alla morte e restituircele. Forte è la morte cui nessun uomo è in grado di resistere. Forte è l’amore al punto da trionfare su di essa, spuntarne il pungiglione, smorzarne la forza, vanificarne la vittoria. Forte come la morte è l’amore, perché l’amore di Cristo è la fine della morte».



 


Foto: Crocifisso, Rosanna Papaianni
Video: Canale Veritasperle 

 

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