mercoledì 28 marzo 2012

Il dovere di pensare, la responsabilità di agire


Che fine ha fatto il tempo in cui si lottava in nome d’ideali, che fine ha fatto l’assiologia, la dottrina del valore, valori sani da mantenere, programmi e propositi da realizzare per il bene comune? Che fine ha fatto il tempo delle nobili oratorie ciceroniane, encomi di cultura e sapere? Di vocazionati politici, che sappiano rendere onore al senso alto della sostanza del fare, se ne ha traccia?

Schegge impazzite, con la bocca impastata di vuote parole, sempre pronte a pronunciarne, e sempre vuote, ma dov’è il contenuto? Si potrà individuare un pensiero che sappia pensare? Si è oggi consapevoli dell’assenza di un pensiero che pensi? Il grande 'non presente'?

Ci si trova immersi in una società in cui persone perse nelle posizioni di potere, nella spartizione dello stesso, nella tutela degli interessi egoistici, di qualsiasi posizione politica, hanno condizionato il vivere civile e sociale. Permane l’assenza di una ‘base’ umana in grado di considerare il grande ‘non presente’ di tutto questo, mancano le persone in grado di manifestare, con coraggio, un taglio netto con ciò che denota il nulla nello sviluppo del pensiero, pensiero però che, se alimentato nella crescita al dovere, arriva, invece, a rendere concreti fatti, comunicandosi e realizzando progetti, rasserenando la società che è stanca di frenetiche parole pronunciate da chi, molto generosamente, è pagato e mantenuto.
Considerare questa mancanza già denota grande coraggio, e un minimo di pensiero; ridimensionare altresì l’arsura del concetto di potere, che ha dato vita a una catena pericolosissima di poltrone su cui si sono inchiodate le negazioni dell’io penso, sarebbe un ulteriore grande passo avanti.

Pensare è libertà, è il dovere, piuttosto che diritto primo di ogni essere umano, molti errori non si commetterebbero e molte persone non ne soffrirebbero per inique rivendicazioni. A questo pensare alto, tuttavia, si arriva in seguito alla crescita della coscienza, nel senso inteso da Tommaso d’Aquino, ovverosia conoscenza, al fine di volersi mantenere autonomi pensieri pensanti e non, come invece oggi costatiamo, masse di opinionisti derivati: ecco la cultura del ‘clonato’. Chi siamo noi? Anime anonime nemmeno degne di carità cristiana, e in mano di chi? Eppure è nell’essenza del pensiero che si manifesta la sostanza della nostra natura. Peccato che troppo spesso assistiamo all’assenza dello stesso, quindi all’assenza della natura umana coinvolta e persa nell’aridità del nulla dire, soprattutto nella categoria politica cui affidiamo e deputiamo in responsabilità, le nostre ‘vite quotidiane’, che alla deriva oggi sembrano abbandonate.

Fermarsi a riflettere nel silenzio urlante degli infiniti bisogni umani, soprattutto dei più elementari dei bisogni quali il lavoro, la dignità dei lavoratori onesti, la giustizia sociale, l’equità, l’assiologia, determinerebbe una più pacata considerazione di ciò che siamo, di ciò che vogliamo, di come nei fatti si possa concretizzare ciò che in mente articoliamo, secondo i talenti di ognuno, le aspettative di chi non rinuncia al sogno della propria vita.

Animarsi per il benessere comune, è un dovere, lottare per rivendicare giorno per giorno ciò per cui si è deputati, per ogni categoria professionale, non è bene personale, piuttosto bene preso in prestito, per gestirlo con onore, e a servizio di gente che con fiducia si affida. Condizione peculiare, tuttavia, è la capacità di pensiero che con senso etico e morale ha chiaro il significato del pensare come dovere, dell'amare come missione, del desiderare il bene dell’altro come fine.


[Foto: Heinrich Friedrich Füger, Prometeo]


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