“Figli tutti d’Italia noi siamo, forti e liberi il braccio e la mente. Più che morte, i tiranni aborriamo, aborriam più che morte il servir. Innalziamoci all’antica virtù”.
Parole ispirate che, con un inno, il poeta Giuseppe Bertoldi volle dedicare a Re Carlo Alberto di Savoia: una ‘coccarda’ risorgimentale in cui fratellanza, unità, libertà, autonomia, legano i cuori in un’unica Patria, oltre ogni regionalismo.
Giova fare memoria di ideali davvero generosi, votati ad un sentimento di Bene Comune, molto poco sentito da una modernità che non ama la storia.
E persevero: il Risorgimento è realtà storica da esaminare con lo strumento della conoscenza che deve tenere separato ciò che fu il Risorgimento dalla gestione politica del mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia. Spesso il revisionismo storico porta a una distorsione della realtà, fino ad alimentare sentimenti neoborbonici, quando invece la popolazione del meridione fu stremata dall’autoritarismo dei Borbone. La storia occorre analizzarla, studiarla, non si può negare l’esistito, ma occorre averne visione lucida, critica, per superare quegli aspetti sistemici di involuzione sociale, ancora oggi da sanare.
Prendo spunto da “Il mito dei Borbone”, di cui consiglio lettura, del Prof. Andrea Mammone. Nel testo, con rigore scientifico, viene sfatato il mito, le leggende alimentate da nostalgici neoborbonici. Aiuta a capire le dinamiche storiche e culturali del Sud Italia e l’eredità dei Borbone.
E non meraviglia, a mio avviso, il dato che i miti si sfatano, soprattutto se edulcorati.
Torno a esortare attenzione sulla questione meridionale, sull’attualità socio-politica, su quanto si sia poco recepito del Risorgimento, soprattutto in Calabria, e di come ci si possa sentire esuli dentro la propria terra che non ha maturato -sistemicamente- di essere parte di un sogno unitario, dell’Italia Unita, soggiacendo, invece, al sistema di un para stato retrogrado e involuto. È opportuno attuare politicamente anche in Calabria, quell’ideale di libertà, di autonomia che fu sogno unitario del Risorgimento.
Mi spiego: cosa ha donato, cosa ha lasciato il Regno delle due Sicilie? Se fosse stato tutto florido non si sarebbe perso radice di sviluppo. Il mito a esso legato continua a esercitare forte fascino, credo ‘forte’ solo per le inesattezze storiche fatte passare per vere. Si deve, infatti, tenere conto dei dati ignorati dai revisionisti neoborbonici. Troppo spesso non si fa menzione dell’opposizione e malumori che attraversavano un Regno poco interessato a modernizzarsi anche politicamente, molto concentrato su di se e non sul benessere del Popolo, si cerca di sorvolare sulle proteste contadine, sui moti liberali, sui tentativi di sovvertire lo status quo dal basso e sul controllo e repressione del regime. Si vorrebbe cancellare sia la povertà che il regno reazionario, soprattutto si dimenticano i patrioti meridionali che si sono battuti per le costituzioni liberali e per un’Italia unita. Come se non bastasse, il mito legato ai Borbone annoverano gli efferati briganti come eroi e patrioti antisabaudi.
Per analogia, azzardo conformazione della realtà ai tempi attuali, soggetti al manto di una borbonica similpolitica.
Del Regno delle due Sicilie, e il testo su menzionato ne esplicita in modo approfondito, le fantasiose interpretazioni sulla prosperità sono essenzialmente un’invenzione storica, le eccellenze erano limitate e a vantaggio di pochi. La condizione della popolazione non era ottimale. La povertà imperava in alcune aree e, in alcune zone della Calabria i contadini erano quasi in una condizione simile a quella dei servi della gleba e subivano le prepotenze dei padroni delle terre. Molti latifondisti non reinvestivano le rendite in modernizzazione o creazione di moderne attività imprenditoriali, i profitti servivano a garantire loro vite agiate e godere delle opportunità. Una realtà economica e sociale taciuta dai neoborbonici.
Ecco che, nonostante i nonostante, sembra persistere l’ambizione ostinata degli antirisorgimentali, che viviamo sui territori con un sistema settario, da para stato, di vantaggio per pochi, nel mentre che, invece, l’Italia è unita, e ad essa annessa la Calabria, e si dimentica che vince non chi domina ma chi serve con amore. Nell’immaginario collettivo dei neoborbonici vi è una visione che esalta il Regno: il revisionismo storico vede nella spedizione garibaldina una conquista coloniale e nei sabaudi forza violenta e straniera che aveva promosso un rapporto di subordinazione e sfruttamento.
In sottofondo giunge incisiva a rinvigorire l’animo la melodia del “Va, pensiero, sull’ali dorate” rinnovando al desiderio di libertà dalle gabbie di uno status quo che rende capovolta alla civiltà la realtà sociale della Calabria, la trattiene arretrata e di inviluppo per la gran parte del territorio: esuli nella propria terra.
Un meridione sottomesso, condizione cui ancora oggi lo si vuole trattenere, è l’evidente eredità intessuta che ancora grava, in modo soffocante, sul territorio. L’arretratezza sistemica, l’inferiorità economica e industriale, l’emigrazione di massa e le varie crisi sociali sono retaggio di una analisi storica che non fa i conti con se stessa e mescola le acque della storia e della politica, rendendole fluide fino all’imbarazzo. Rimane, infatti, ingannevole l’esempio frequentemente usato che il più grande complesso siderurgico della Calabria sarebbe stato lasciato fallire per favorire l’industria settentrionale, o che le banche borboniche e le riserve auree dei Borbone fossero state depredate. Il nostro territorio è continuamente depredato, a mio avviso, dal sistema di subordinazione e sfruttamento che permane attivo e riflesso nel ‘parastato’. Fu, di buona sostanza, un sistema illiberale quello legato al regno borbonico, di costrizione che non ha avuto cura per la propria gente, impedendo ai territori stessi, in autonomia, di evolversi nel loro potenziale.
Si, l’autonomia fa la differenza, poiché da essa devono poter emergere le capacità politiche: si è chiamati a dimostrare di essere all’altezza di quello per cui si è deputati. Se tale capacità è inesistente, si lascia ad altri di dimostrare potenzialità. Nei nostri enti, ‘capitoli’ di potere, campeggiano annosamente le stesse ‘persone’ credendosi i depositari di un regno che non esiste e non mollano feudi.
È bene, ogni tanto ricordare che l’ITALIA, esiste, è voluta da Re Carlo Alberto di Savoia e ottenuta da Re Vittorio Emanuele II. I Savoia, sono la storia d’Italia Unita.
Tocca ripartire da quei moti di coscienza, di pura poesia alla vita, moti di libertà, occorre innamorarsi del sentimento che ha ispirato il Risorgimento per dare speranza al territorio e opporsi a quanti, ancora oggi, cercano di padroneggiare sul popolo. Occorre evolversi sulla base di ciò che si ha, e la Calabria ha un territorio ineguagliabile per bellezza, di inesplorata cultura, storia, archeologia, sericultura, tradizioni agroalimentari, peculiarità vitivinicole. Occorre Risorgimento che superi leggende su ciò che si crede sia stato tolto dai sabaudi: a togliere hanno pensato, e pensano, i signori del para stato, gli antisabaudi, e quanti confondono la verità storica. A Cesare quel che è di Cesare, ma a Dio quel che è di Dio.
Rinnovo sollecito a un moto di coscienza che parti dal popolo sano, che rivoluzioni la terra di Calabria, la provincia di Crotone in particolare, verso un Risorgimento di pulizia, e conduca a dire basta, sproni a non essere sudditi di inettitudini, a non sottomettersi a quanti scambiano la cosa pubblica con la cosa privata e interessata, usurpando speranza e futuro alla povera gente, avrebbe detto Giorgio La Pira, territorio che continua a perdere, come in un esodo, suoi figli.
Il Rinascimento ha senza dubbio segnato splendore di rinnovamento filosofico, artistico, letterario, momento in cui vennero alla luce l’umanità e la coscienza moderne. Ma il Risorgimento, l’ideale intrinseco di fratellanza, unità, libertà, autonomia, credo sia quello necessario al nostro tempo e alla Calabria. Occorre rendersi autonomi da residui leggendari, occorre un grande cambiamento culturale, sistemico, che rivoluzioni oltre gli ambiti toccati dal Rinascimento anche, e soprattutto, la politica e l’economia. Se nell’ottocento il Risorgimento culminò con l’Unità d’Italia, ai nostri giorni auspicherei che culminasse nell’Unità dei calabresi, liberati da imbarazzanti sistemi di inettitudine socio-politica che danneggia il territorio. È la questione morale che si deve affrontare per superare la paralisi del territorio, due sono i grandi rischi conseguenti: denatalità e inviluppo. La politica non può più eluderne dato reale.
Occorre stare dalla parte giusta per vivere i propri sogni, comprendere che la storia è d’ausilio a migliorare, a ben comprendere e riconoscere a chi dobbiamo l’Unità costata assai cara ai patrioti sognatori. Innalziamoci all’antica virtù, per innovare sistema socio-politico del tempo attuale.
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