Con Calliope, camminando, iniziai dialogo, il fascino dell'eloquenza è irresistibile e ne volli condividere, persuasa che tutti i pensieri, veramente grandi, sono concepiti camminando.
E, interagendo, commentai: nelle vie del paese è manifesta l’apparenza del 'fare', coperta da verità immonde, che anni di inappropriato abuso hanno reso le vie anemiche, tradendo il dovere del proprio ufficio o rendendosi responsabili del dilagare della corruzione del male. Tuttavia, ciò che appartiene all’uomo e alla società civile, presto o tardi, affiora nella coscienza degli uomini savi. È l’affermazione dei valori etici a determinare progresso d’umanità.
Nel mentre soggiunge Clio che pone riflessione su un dato storico: è importante rammentare che la politica non è riservata ai politici, tutti possono e debbono collaborare al Bene Comune, evitando però le fazioni. Mi ricordai della definizione che S. Caterina da Siena dà delle fazioni: le “sette” le chiamava, “che sono la rovina della città, quando mirano non al bene comune, ma al loro bene particolare e sono per questo intente alla conquista del potere.” (L. 268). Caterina rimprovera i politici ed anche i prelati ecclesiastici, che non riprendono i colpevoli. Evidenziai il male immondo, dei governanti che, per timore di impopolarità, non mettono un freno all’immoralità e alla corruzione, causando ingiustizie e la rovina dei Comuni.
Soffermo attenzione al concetto di legalità che, come la democrazia, implica rispetto per ognuno nelle Comunità, non denigrazione, supportata da compiacenti rozze penne comprate. Implica rispetto per le Famiglie e loro sacrifici, a fronte di profittatori a tradimento per affiliazioni, vizi e clientele. Implica non creare nocumento a chi fa il proprio dovere morale! Ne consegue che legalità e democrazia si compenetrano in compiutezza con la cultura sana, che è sensibilità e ne abbraccia umana valorizzazione.
Alcuna giustizia sociale, onestà intellettuale, sviluppo, edificazione umana si persegue nella scorrettezza dell’agire. Mi accorsi che le locali politica, associazioni, chiesa e istituti scolastici avevano abdicato a tale fondamento sociale, tant’è che si erano dati al vano disquisire, all’irrazionalità irresponsabile, ancor più pare essersi asserviti alla tiepidezza.
Ora, tiepidezza è sinonimo di accidia, di indolenza, ripugnante al punto che, leggendo le parole che lo Spirito dice alla Chiesa di Laodicea: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca (Ap. 3, 15-16). Tommaso d’Aquino definisce la tiepidezza: Una certa tristezza che rende l’uomo tardo a compiere gli esercizi dello spirito, a causa della fatica del corpo (S. Th., I, q. 63, a. 2). E, Caterina da Siena, riscontrando un male assai deprecabile nella tiepidezza, esorta con ardore: Fa che tu sia fervente e non tiepido in questa operazione, e in stimolare i fratelli e maggiori tuoi della Compagnia che facciano la loro possibilità in quello ch’io scrivo. Se sarete quello che dovete essere metterete fuoco in tutta Italia. (L. 368). Ciò richiama all’assunto dottrinale “L’intelligenza scopre...”(S. Th., I-II, q. 94, a. 2) e, cosciente, mi determino a che la bella voce dell'eloquenza proceda nel cammino.
Maria Francesca Carnea
Tratto da “DISTINTA E DISTANTE. Cammino verso la scoperchianza” (MFCarnea)
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