La funzione civile, osservò Papa Benedetto XVI, è talmente eminente e insigne da rivestire un carattere quasi 'sacro'. Pertanto, essa richiede di venire esercitata con grande dignità e vivo senso di responsabilità.
Con la perdita, a livello sociale e politico, di una comune visione del bene, ciò che resta è un insieme d’individui con interessi particolari e fra loro discordanti, la cui convivenza è garantita da un sistema di regole pratiche. In concreto, la giustizia non avendo più alcun riferimento con il bene, ha perso il suo ruolo di virtù, è identificata con il sistema di leggi inter soggettive, destinate ad assicurare la convivenza civile. Essere giusto, oggi, non significa dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno per realizzare il suo telos sostanziale come cittadino, bensì significa limitarsi a un rispetto formale e giuridico delle regole comuni di vita. Ne consegue che, da una parte, il bene non compreso più come un’istanza complessiva e oggettiva di senso, esce dalla scena morale divenendo fulcro d’interesse soggettivo e di felicità individuale. D’altra parte la giustizia, come valore culturale della vita sociale e della cooperazione umana, è diventata il luogo dell’imparzialità e della morale legalitaria.
La domanda morale fondamentale si concentra su cosa ho il dovere di fare in rapporto agli altri, e trascura completamente il problema eudemonistico della libera e responsabile formazione morale di sé, considerandolo legato a fattori empirici e soggettivi.
I cristiani, diceva il grande filosofo Hans von Balthasar, sono «i guardiani di una metafisica della persona integrale in un’epoca che ha dimenticato tanto l’Essere quanto Dio». Essi portano la responsabilità di tener vivo l’amore colmo di stupore che è il punto di origine di una esistenza autenticamente umana e include l’intero cosmo nella sua ampiezza. Ci ricorda, inoltre, s. Tommaso d'Aquino che “la fede emotiva non è fede, le emozioni non sono il soggetto della fede, soggetto della fede è l’intelletto speculativo”. Prendendo spunto da questo concetto, reso altamente operativo da s. Caterina da Siena, si giunge a un’analogia propositiva per l’arte del governo della cosa pubblica, in tutti i suoi ambiti: la politica emotiva non è politica, l’emotività non è il soggetto della politica, soggetto della politica è l’intelletto speculativo che induce all'azione responsabile, capace sicuramente di emozionare ma nell’esercizio pratico della “carità intellettuale”.
Formare, guidare, educare è, pertanto, un atto d'Amore, esercizio della “carità intellettuale”, che richiede responsabilità, dedizione, coerenza di vita e che, nel contempo, diviene bellezza dell’essere. L’amore non è solo nelle cose che diciamo quanto piuttosto e soprattutto in quello che facciamo, operiamo. Comune denominatore della bellezza e dell’amore è la gratuità, e la tenacia di una figura esemplare qual è s. Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, ne è chiara testimonianza edificante.
Fare tesoro di tale umano esempio di capacità comunicativa, di coraggio, risolutezza per il bene intendere operare di libertà e di politica, diventa ricchezza morale e patrimonio praticabile, nonché vigoroso stimolo di speranza, per un orizzonte di pace e decisa lungimiranza costruttiva.
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