È adesso il momento! È adesso il momento per rendere concrete le promesse della democrazia. È adesso il momento per uscire dal buio. È adesso il momento per fare giustizia. Non possiamo dirci soddisfatti, non potremo mai essere soddisfatti, finché la giustizia non scorrerà come l’acqua. Io ho un sogno! È sollecitazione che Martin Luther King pronunciò nel memorabile discorso al Lincoln Memorial di Washington, il 28 agosto 1963. Promotore del cambiamento sociale tramite la non violenza, nel 1964 riceve il premio Nobel per la Pace. Il suo motivare alla verità del reale, a non cedere alla violenza, a non aver timore di arroganza e vessazioni, diede vita a un movimento di coscienze savie, cercando sempre, fervido nella fede, il rispetto del dialogo.
Di grandi ispiratori, al bene fare e bene dire, la nostra attualità socio-politica ha bisogno: quando si alimenta ingiustizia, il risultato è la rabbia irrazionale, che genera immoralità, stoltezza, guerre. Ecco che, non bisogna prestare il fianco, poiché con M. L. King, le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui si sta zitti di fronte alle cose ingiuste, peggio le si assecondano nella compiacenza dell’ingiusto. È necessario indignarsi, conta indignarsi dinanzi alle ingiustizie. Non possiamo dirci soddisfatti della deriva disonesta cui le comunità sono quiescentemente soggette, occorre sradicare malversazione, infingimento, ipocrisie, solo una interazione civile, rispettosa, costruttiva, educata, supera la mediocrità volutamente seminata, ed è capace di edificare il cammino dell'umanità, è capace di superare l’aggressività di perversi, nutriti dal silenzio dei sedicenti 'onesti'. È necessario correre il rischio di agire il giusto, dove v’è confusione c’è molta menzogna, quindi ignoranza. È necessario osare l’inosabile, fare rumore, innamorarsi della verità.
Una collettività spogliata dalla bellezza della carità che si fa verità, ‘alétheia’, perde identità, armonia, dignità, viene miseramente svenduta e imbevuta di ‘doxa’, cioè del culto dell’apparenza e futilità, come quando si disconosce lo Stato legittimo, e si opera per quello infido, atto a delinquere, soggiogando territori, usandoli, non servendoli, estirpandone libertà. La filosofia greca, è noto, inaugura la questione della verità separandola dalla sembianza, dalla dóxa, dalle varie forme dell’apparire, dall’opinione. Ma la verità - alétheia - è ciò che non resta latente, bensì si svela, si impone con il ragionamento, l’investigazione. In greco si ricorre al termine dóxa per indicare l’apparenza, in stretta derivazione dal verbo dokéo che significa 'sembrare'. Dunque, dóxa genera opinione, che è cosa assai ben diversa dalla verità-alétheia.
Platone chiama filodoxi coloro che si fermano alle apparenze (dóxa), cioè all’esteriorità sensibile e ingannevole delle cose il che, la maggior parte delle volte, genera delirio populista e degenera in settarismi: i filodoxi vivono confondendo l’apparenza con la realtà, e lasciano che la confusione permanga in altri, a vantaggio di interesse personale coercitivo.
Il filosofo, di contro, in perenne condizione di veglia, è colui che cerca la verità (alétheia), ed entra nella natura intelligibile delle cose, quel sapere certo e incontrovertibile, che è in grado di imporsi con la sua evidenza al di sopra di ogni dubbio, come solo volo d’aquila riesce a commisurare. Ciò procrea credibilità a edificazione popolare: non si confonde l’apparenza con la realtà, come non si confonde un grido d’aquila con i ragli d'asino: l'aquila, regale, fende i cieli, li troneggia, ed è di vantaggio al Bene Comune.
Dunque, i filodoxi possono scegliere come apparire, ma non possono nascondere a lungo chi sono, cioè meri ingannatori a scorza d’asino, la stessa scorza che vilmente esplose colpo mortale uccidendo M. L. King, o di quanti alimentano insensati fanatismi, innescando guerre. Ma la verità trova in sé l'autorevolezza che gli conferisce credibilità. Inoltre, la parola ‘verità’, significa anche ‘ciò che sta sopra’, epistéme, e per questo non ha bisogno di appoggiarsi o farsi appoggiare, proprio perché ha in sé autorevolezza e credibilità, pertanto non necessita di ricorrere al linguaggio retorico della persuasione.
Martin Luther King ha incarnato, come grido d’aquila, autorevolezza e credibilità, ha saputo 'stare al di sopra', attenzionando al diritto di esistere di ognuno, e al dovere morale come criterio di rispetto della libertà e dignità di ogni essere umano. Siate il meglio di qualunque cosa siate, esortava, cercate ardentemente di scoprire a cosa siete chiamati, e poi mettetevi a farlo appassionatamente. Un messaggio di pace, sempre attuale, rispettoso, che apre a un tempo di eccezionali speranze, affinché verità e giustizia scorrano limpide, come acqua di ruscello, ad alimentare umanesimo, a incoraggiare il sogno di una compiuta libertà che, ci ricorda S. Giovanni Paolo II, consiste nel fare ciò che si deve!
Nessun commento:
Posta un commento