di P. Bruno Esposito, O. P., Professore Ordinario nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Roma.
Basta un po’ di buon senso per cogliere ciò che in fin dei conti è un dato evidente, e quindi non ha bisogno di essere dimostrato e può essere colto da tutti, anche se non tutti potranno spiegarne le ragioni: il male, fisico o morale che sia, è sempre una privazione, una mancanza di qualcosa di dovuto. Purtroppo, invece, spesso e volentieri, siamo portati più a cogliere, ad evidenziare e sottolineare, per primo ciò che manca (il male), ed a trascurare quel bene, quel positivo alla luce del quale, solamente, ha senso parlare di un male.
Allora, in questa breve riflessione sulla figura del sacerdote (ma in qualche modo applicabile ad ogni consacrato/a a Dio), mi sembra importante proprio partire da ciò che un ministro di Dio è chiamato ad essere, e come da sempre è stato percepito dalla gente comune, a prescindere che fosse credente o meno, come la storia della Chiesa ci ricorda riguardo le missioni evangelizzatrici. In altre parole: partendo da quel positivo alla luce del quale solamente potremo tentare di comprendere il male causato dalla non realizzazione del bene, provvedendo di conseguenza con i modi idonei a combatterlo.
Personalmente, sono cresciuto nella mia parrocchia avendo davanti delle figure di parroci, sacerdoti e seminaristi impegnati nel proprio cammino di conversione e dedicati completamente al servizio del Popolo di Dio. Al di là dei talenti che ciascuno aveva ricevuto da Dio o delle proprie fragilità o dei caratteri di ciascuno, per me, come per la maggioranza dei fedeli della parrocchia, è sempre stato chiaro chi era il sacerdote: un uomo scelto da Dio per essere un suo ministro in mezzo ai fratelli, solidale con loro nei momenti di gioia e di dolore, che poi sono i momenti che ritmano il pellegrinaggio terreno di ognuno, di ogni famiglia: i sacramenti dell’iniziazione cristiana, la ricerca di un lavoro, il matrimonio, le celebrazioni di anniversari, i problemi familiari, le malattie, la morte.
Invece, soprattutto in questi ultimi venti anni, a questa figura di sacerdote si è sostituita quella di un vero e proprio “orco”, di una persona di potere, attaccata ai soldi e schiava delle peggiori perversioni. Ormai questa “convinzione” è diventata “opinione pubblica” ed è entrata a tutti i livelli: politico, culturale, giuridico ed anche ecclesiale. La conferma si ha vedendo anche la maggior parte dell’attuale produzione cinematografica. Però questo, grazie a Dio, non è vero, o almeno non è vero nei termini in cui viene presentato! Come non è vero che tutti, o quasi, i medici sono incompetenti e uccidono i loro assistiti, che tutti i politici sono ladri, che tutti gli avvocati sono disonesti, che gli insegnanti sono impreparati o che i genitori non sanno educare i propri figli. Come spesso accade fa più rumore e si pone più attenzione ad un albero che cade, invece che alla foresta che cresce!
Però, le generalizzazioni e le etichette sono sempre pericolose e portano a sacrificare degli innocenti in nome di una esigenza di giustizia, che in quanto, di fatto, sommaria, non potrà mai essere vera giustizia. Doverosamente in questi ultimi decenni, la Chiesa ha cercato di dare una risposta credibile agli scandali ma, a mio sommesso avviso, in più di qualche occasione più per paura o per dare soddisfazione ai mass media ed all’opinione pubblica che per amore di verità e trasparenza. Correndo il rischio, in più di qualche occasione, di passare da un estremo all’altro: da un complice silenzio ad un immotivato impulso a denunciare chiunque fosse accusato e questo più proteggere posizione ed interessi che per amore di giustizia e quindi per il bene di tutte le parti, nessuna esclusa. Abdicando in qualche modo ad essere sempre e comunque maestra di umanità e di misericordia, anche verso quei sacerdoti che possono aver sbagliato. Il vescovo, non dimentichiamolo mai, è e rimarrà sempre padre dei suoi sacerdoti, buoni o cattivi che siano, e non potrà mai essere compreso come un semplice datore di lavoro.
Accettando, molte volte, una semplice denuncia come sinonimo di colpevolezza, si oblia uno dei principi fondamentali su cui si edifica una società ed un ordinamento giuridico degno di un tale nome: il diritto di difesa, che è un diritto naturale, con tutto quello che questo significa. Non dimenticando che l’elemento essenziale del diritto di difesa è senz’altro la possibilità di un vero contraddittorio, il quale deve essere il più trasparente possibile. Per questo si richiede la conoscenza dell’accusatore e delle accuse, nella consapevolezza che “onus probandi incumbit ei qui dicit”. Infatti, nel contraddittorio, in modo particolare, ma non esclusivo, in ambito penale, è la colpevolezza che va provata e non l’innocenza, come qualcuno oggi pensa o come purtroppo in qualche caso si permette e si realizza (in dubio pro reo!).
Questa reazione agli scandali sta di fatto producendo una vera e propria “guerra al massacro” dove nessuno può sentirsi più al sicuro ed ogni sacerdote può essere di fatto accusato di tutto e per questo solo fatto, senza vero appello, vedere distrutta la sua vita. Incitando, anche se in modo inconsapevole, qualcuno a presentare delle denunce anche solo in vista di ottenere qualche ritorno economico o di ricevere notorietà o per pura vendetta. Ovviamente tutti possono immaginare le conseguenze di un simile clima, a livello di opinione pubblica e di esercizio stesso della missione del sacerdote.
Allora cosa fare? È necessario ripartire dal positivo e questo lo si può fare leggendo chiaramente la causa dell’attuale situazione: la crisi di fede! Usando una terminologia di baconiana memoria, possiamo dire che alla pars destruens degli ultimi decenni, deve seguire necessariamente, s’impone, la pars construens per il presente ed il futuro. Oggi è necessario “riformare” la figura del sacerdote e quindi “formarlo” avendo presente che la forma, il modello è solo il Cristo, in quanto il sacerdote è un alter Christus! Quel Cristo che ha dato la sua vita per l’umanità e chiede ad alcuni di dare ugualmente la vita per i fratelli (cf 1 Gv 3, 16) e che come leggiamo nel vangelo di Marco: “Ne costituì dodici affinché stessero con lui …” (3, 14). Stare con Lui: questo è il segreto! Questo significa investire le risorse migliori che la Chiesa possiede al presente, per aiutare i giovani nel discernimento vocazionale, nella formazione iniziale in seminario e successivamente nella formazione permanente, espressione eloquente ed insostituibile della sollecitudine paterna del vescovo e della fraternità sacerdotale. Però, in modo particolare, è importante aiutare all’inizio quanti credono di sentire la chiamata da parte di Dio al ministero sacerdotale o alla vita consacrata, a verificare se è una vera chiamata o solo un mero e non fondato desiderio della persona. Sicuramente deve essere rivisto il modo di vivere ed organizzare la vita negli anni della formazione iniziale in seminario, sentito e vissuto molte volte più con lo spirito di chi vive in una caserma e deve sopravvivere al sergente di turno, che un momento per verificare, prima di tutto per il bene del formando, se veramente è Dio che lo sta chiamando. Scoprendo che la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata è prima di tutto una questione di amore: la scoperta dell’amore di Dio per me in un progetto di amore per la mia vita attraverso la consacrazione a Lui e per il servizio dei fratelli (cf 1 Gv 4). Infatti, sono convinto che è proprio il non realizzare con amore la propria vocazione, spieghi tante crisi nella vita sacerdotale e religiosa, come del resto nella vita matrimoniale. O d’altra parte, evidenzia che non c’è stata una vera “vocazione”. In ogni situazione che viviamo, soprattutto in ogni rapporto, con Dio o con un’altra persona, in un rapporto di amicizia o di amore, si esige di viverlo ogni giorno, con una tensione ed attenzione all’altro, che soli costruiscono e consolidano il rapporto. Senza questo impegno quotidiano ogni rapporto svilisce e muore ed alla fine ci si ritrova un estraneo accanto. Non si può dare nulla di fatto una volta per tutte o di scontato in un rapporto personale! Questo estraneo potrà essere anche Dio per il sacerdote ed il consacrato, ed allora si possono immaginare le conseguenze.
Tutto questo nella consapevolezza realistica, che coloro che sentono la chiamata sono figli del proprio tempo, quindi persone che sono convinte che a loro tutto è dovuto e che non sanno il vero significato del sacrificio e della rinuncia per qualcuno o per un bene maggiore. Chesterton argutamente notava in Cosa c’è di sbagliato nel mondo: “Non ci sono persone non educate. [… ma] la maggior parte di loro sono educati male”. A questo si deve aggiungere anche l’eventualità, non così remota, di quanti sanno benissimo di non avere la vocazione e quindi le capacità, ma vogliono, per i più svariati motivi, intraprendere una strada che farà la loro infelicità e quella di coloro che incontreranno. Il non riconoscere una tale mancanza o il non farla presente, è una grave disonestà ed omissione da parte del formando ovvero del responsabile della sua formazione. Ecco perché è necessario avere dei formatori preparati sotto tutti i punti di vista. La vita del sacerdote di Cristo non è stata e non sarà mai “semplice”, come non lo è stata la vita di Cristo in quanto come lui, è stata e sarà sempre segno di contraddizione per un mondo egoista che non può accettare la gratuità (cf Lc 2, 34). Allo stesso tempo, alla luce della fede, è importante non dimenticare una sacrosanta verità che amava ricordare il Card. Journet: la Chiesa è santa, sono peccatori gli uomini di Chiesa che la tradiscono peccando contro il Suo Divin Fondatore, Cristo Gesù ed il suo progetto di amore per me!
Concludo questa breve riflessione invitando alla lettura di un bellissimo romanzo di Bernanos, Il diario di un curato di campagna. Un semplice prete, da tutti poco stimato, compreso lui, che scoprendosi malato di cancro si ritira nella casa di un suo compagno di seminario, che da tempo ha abbandonato il sacerdozio, dove trascorre gli ultimi giorni della sua vita confortato dall’inequivocabile pensiero che la sua esistenza terrena sia stata una grazia di Dio. Tra cui anche il fatto che ha appena ricevuto l’assoluzione dal suo ex confratello, che si dispiace delle circostanze, ed al quale risponde con le ultime parole: ” … perché ti dispiaci? Tutto è grazia!”. Anche l’attuale crisi, se vissuta con la forza della fede, sarà una purificazione e quindi una grazia per cui ringraziare Dio (cf 2 Cor 7, 10). Quindi è importante non restare prigionieri del male e di fare nostre oggi le parole di san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12, 21 e cf Sl 96). Adattando la Regola d’oro che Cristo ci ha lasciata (cf Mt 7, 12), penso che ogni giorno la preghiera di ogni sacerdote dovrebbe essere: “Signore, aiutami ad essere sempre quel presbitero/vescovo che vorrei trovare!”.
P. Bruno, O. P.
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