La cultura
politica moderna è permeata dalla logica della separazione e della parzialità. Il
linguaggio di matrice sofista, non sana i problemi reali, non aiuta a
conoscere, né a capire, tanto meno a riportare la persona al centro
dell’azione della politica e quindi del bene. L’idealismo
assolutizza l’Io, fino ad identificarlo con tutta la realtà; il positivismo,
con le sue presunzioni scientiste, all'opposto, riconduce tutta la realtà
alla sola natura, mentre la metafisica si eclissa. La modernità ha
frantumato l’immagine dell’uomo e, per uscire dalla crisi della modernità,
occorre ancorarsi a un maturo sistema di pensiero organico, da cui trarre
spunto, per ritrovare i fondamenti dell’etica, della politica, dell’educazione,
e che, personalmente identifico nel Tomismo. Dal pensiero dell’Aquinate scaturisce
l’idea della persona umana come entità ontologica, cioè realtà avente valore in
sé, indipendentemente dalla natura, dalla società o dallo stato, che muove la
sua consistenza dal rapporto con l’Assoluto. Di fatto, il recupero della spiritualità
nel fare della politica, è condizione per la ripresa del valore della persona
e, dunque, della rifondazione di un ordine sociale modellato sulla dignità
dell’uomo.
Come attività, precipuamente umana, la politica per sua natura ha in sé
qualche componente spirituale. Si tratta del senso della vita, la forza che ci
spinge a fare qualcosa, e la politica implica necessariamente il ‘fare’. L’idea Tomista dell’uomo coincide con l’idea greca, ebraica e cristiana: è
quella di un uomo dotato di ragione, la cui suprema dignità consiste nell'intelligenza;
di un uomo come libero individuo in relazione personale con Dio, la cui suprema
virtù consiste nell'obbedire volontariamente alla legge di Dio;
di un uomo come creatura peccatrice e ferita, chiamata alla vita divina e alla
liberazione apportata dalla grazia, la cui suprema perfezione
consiste nell'amore. Tommaso stesso dà la definizione di Persona, ad oggi
insuperata: sostanza individua di natura razionale dotata di intelletto e volontà.
L’individuo
libero, nella società, deve divenirlo attraverso: l’educazione, la conoscenza,
il dialogo, il confronto, il sapere. L’educazione contemporanea, tuttavia, è
parziale, perché ha smarrito il senso dell’integralità umana. La stessa persona
non è percepita nella sua interezza e complessità ma in assoluta parzialità. Occorre
pensare concretamente a una ‘filosofia nuova’. Mezzi, metodi, programmi,
tecniche educative sono importanti, ma secondari, rispetto all'obiettivo di insegnare
la verità, aprire all'orizzonte della verità, sempre terza rispetto alle parti.
La cultura che si lega a questa visione comporta lo sviluppare: il senso di responsabilità e degli umani doveri, l’esercizio dell’autorità per il bene
generale, il rispetto dell’umanità
in ogni singola persona. È sempre più
chiaro, però, lo spirito dominante dell’attualità sociale, cioè il libero
arbitrio è una potenza passiva, mosso dall'oggetto dell’appetito concupiscibile
dell’avidità socio-politica. La quieta ignoranza si ostina a non tener conto
dell’intelletto che, invece, tende naturalmente all'esercizio attivo e
propositivo delle virtù, e alla comprensione della verità. Nell'intelletto,
infatti, sta la radice della volontà e della libera scelta, ma tutto, nella
società, sembra votato allo svuotamento, quand'anche oscuramento del bene preminente,
proprio la luce dell’intelletto che
ha, come suo oggetto specifico, la conoscenza dell’essenza delle cose.
Eppure di paure,
esclusioni, divisioni non fa che nutrirsi questo nostro tempo, in cui alzare i
muri, trincerare i confini, offendere la natura e la bellezza del creato, è
diventato l’ordinario ‘fare’ dei governi, delle rappresentanze istituzionali. E
il continente Europa ancora attende di nascere su questo aspetto, attende di
essere unità! L’intelletto è orientato all'intuizione immediata della
verità, da cui astutamente si guardano bene i detentori del potere dal
rendere chiara. La ragione, invece, cui sembra mirare l’attuale società civile,
confusa e scompigliante, cerca il raggiungimento della verità attraverso il
ragionamento discorsivo, per niente raffinato, tipico del demagogico. In questo
modo, potrà soltanto stabilire delle connessioni causali, procedendo
discorsivamente, ma non potrà mai giungere alla comprensione unitaria del
reale. Ergo: La ragione non può cogliere l’unità delle cose, poiché il suo
ufficio è di cogliere le divisioni; spetta invece all'intelletto afferrare
intuitivamente l’unità che soggiace al molteplice. E, nel
discernimento, quando l’uomo arriva a conoscere la causa delle cose, desidera
ancora conoscerne l’essenza. E tale accrescimento di potenza intellettiva si
definisce luce dell’intelletto. A questo ha rinunciato, o si è fatto in modo
che vi rinunciasse, la società moderna. Si è accolto a braccia aperte il senso
del relativismo e qualunquismo, avallato dall'infondatezza di
proposte e prospettive di costrutto per l’edificazione della persona,
avendo escluso dalla centralità dell’azione politica la sua edificazione, e si
è optato per l’avidità, peggio per la parzialità di idee politiche.
Certo si esiste, ma come si vive? Cosa si fa per la vita? Si persevera nella illogica forma
dell’apparentamento clientelare, mentre mani profughe cercano aiuto, occhi di
bambino liberano lacrime.
E mi domando e vi
domando: dov'è il fuoco
d’amore in questa società? Penso che alla silente indifferenza ci si può opporre
con l’etica della contemplazione e interiorizzazione, con il chiasso fragoroso
dell’umanità che sa ancora emozionare, emozionarsi, sa rendersi fortezza e
mitezza rivoluzionaria per la comunione del bene. Tuttavia, l’etica, che
implica la contemplazione e l’interiorizzazione, perché sia autentica, ha
bisogno di persone libere e la libertà comprende manifestazione di
incoraggiamento dello spirito, di interiorizzazione di un umanesimo che non
vuole spegnersi, soprattutto non vuole rinunciare al lume d’intelletto. Non è difficile scorgere una società resa povera di radici, punti d riferimento, che disdegna i valori della vita e si pone sul versante decadente di un relativismo esasperato. Nel linguaggio delle
relazioni, con l’ausilio di parole affabulatorie, ha trovato campo fertile il
pensiero fumoso, torbido, populista, quello che scuote le masse senza
coordinarle e responsabilizzarle perché ignora la concretezza, ignora che ogni
dire e fare implica il rispetto di una umanità in cerca di risposte per un
vivere di sviluppo e di pace. La libertà
esige la verità!
Ora, l’individuo,
per esprimere più liberamente le sue alternative, per essere artefice del suo
avvenire, ha la necessità di un'Auctoritas. Autorità intesa come
autorevolezza a servizio dei bisogni e delle aspirazioni delle persone, capace
di interpretare un obbligo di stabilità, di garanzia, di sicurezza, esigenze
indispensabili all'equilibrio sociale. La libertà senza autorità può sfociare
in un meschino individualismo, padre fecondo di disaccordi, insane pretese e
conflittualità. Va da sé che la
democrazia non si conquista mai definitivamente, i suoi esiti sono sempre
perfettibili, come ogni processo umano. È, altresì, importante rilevare che la
persona reclama il rispetto dei suoi diritti. Se la persona non è sostenuta nei
suoi diritti, le istituzioni insultano la sua sacralità, l’autorità si
svilisce, la democrazia si trasforma in autocrazia per far da scorta alla
tracotanza del profitto economico. Allo stesso tempo,
però, è necessario non eludere la necessità dei doveri, e il loro procedere, i doveri
vanno di pari passo ai diritti: non si può parlare di conquiste quando manca la
responsabilità etica, e non si può educare l’uomo ignorando l’uomo, il
sentimento della dignità.
È, dunque, tuttora
perseguibile il prospetto di un’etica cristiana in cui si verifica una piena
compenetrazione di spirito religioso e spirito morale: un’assonanza che non
comporta un’assunzione quieta dell’esistente, piuttosto un attivo e
trasfigurante esistere, poiché il suo obiettivo consiste nel fare in modo che
l’agire umano sia al servizio dell’essere, dei fini di civiltà e di
edificazione umana.
Mi piace parlare
di quello che ho definito il valoroso P - dove P sta per Pensiero, per analogia
P-politico - l’assente che manca alla società, che è necessario si riscopra.
Libero da ogni autoreferenzialità, con l’ausilio della luce dell’intelletto,
capace di penetrare le profondità dell’essere umano. Rivoluzionario per mitezza
d’essere, in grado di governarsi e governare, capace di fare la differenza tra
il bene e il male, capace di ridimensionarsi perché riconosce il limite del
rimanere solo. Capace di comprendere l’importanza dello stare insieme, della
parola Noi, preferendola ad ogni bene materiale e praticandola nella società. Detentore
di un senso acuto di famiglia, del suo dato naturale di consortium
totius vitae. Il Valoroso essere Pensante, il grande assente nella società,
ha ben chiaro che il bene più grande di cui si può avvedere la persona, per
l’esistenza dell’umanità, la sussistenza della vita, è la ragionevolezza della libertà, soprattutto il rispetto della libertà
rapportata ad altra libertà. Solo così acquisisce consapevolezza che egli, la
persona, viene alla luce, nasce in un’altra persona, un altro da sé. E, se la
moralità è l’assunzione decisa, e quindi responsabile dell’atto dell’autorealizzazione,
l’etica è l’assunzione decisa, e quindi responsabile, dell’atto libero della
valorizzazione di sé.
Utopia? Direi di no! Il termine utopia, sosteneva Adriano Olivetti, è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande. Un’opera di educazione profonda, quindi,
che istruisce alla consapevolezza degli sforzi, necessari, imprescindibili, per
conquistare quella libertà di pensiero, che diventa libertà di azione nella società,
società che ha bisogno di essere permeata di spiritualità, di etica
responsabile, di un innovato umanesimo.
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