In una sorta di ascesi, che ha poco di
mistico, ma tanto di catartico, la politica, orfana del dato spirituale, che
nobilita la sua essenza e l’agire, si è progressivamente depressa indirizzandosi
in una dimensione dove il vero e il costruttivo sono dimessi oltre che negati. Ci ricorda Hannah Arendt che “nessuno
ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto
cattivi l’una con l’altra”. L’evidenza sociale non lascia incertezze, ma è
importante anche, a volte, cercare e trovare quel quid, il senso dell’opportuno, che porti in qualche modo a essere
realisti oltre che capaci di ragionevolezza.
Faccio mia l’asserzione della Arendt
che sosteneva: la politica non coincide con il potere, le sue istituzioni, il
suo esercizio. Piuttosto, riprendendo il pensiero di Aristotele, intende la
politica come ‘condizione umana stessa’
e di questa ha le caratteristiche: nascere, dare inizio a qualcosa di originale,
essere per e insieme ad altri. Unitamente a questo concetto assurge, con
altrettanta potenza intellettiva, ad una determinazione della parola, considerandola
dotata di valore politico: non la parola persuasiva e seduttiva dell’oratore,
sofista, di fronte a una folla di insipienti e passivi; non la parola violenta
o coercitiva del politico, dispotico, nel trattare i conflitti con altri stati
e altri popoli; piuttosto la parola dotata di autorevolezza, vincolante per
altri, pur lasciandoli liberi; parola che è più di un consiglio e mai un ordine;
parola che, nell'essere pronunciata, porta a un aumento della conoscenza per
chiunque l’ascolti e ne partecipi.
Viviamo in una realtà che insegue l’effimero
socio-politico, sgraziato di sensibilità, mutilato di umanità, di agire. Da qui
la domanda: è -oggi- cosa possibile l’agire di costrutto?
Paradossalmente, solo ciò che è effimero
sembra degno di esistere. Ma il risultato è il trionfo della disarmonia, dell’assenza
di equità sociale, delle difformità, degli abusi, del non senso. In assenza di
altri criteri, si percepisce, inevitabile, l’affidamento a modelli che rinviano
al transitorio sopravvivere politico. Accade così che il giudizio morale sia
sempre più simile a un giudizio di convenienza. Sappiamo bene che, in politica,
prevale l’immagine sull'argomentazione razionale, e sorge provocatorio l’interrogativo
se l’influenza e il dominio dei media non si collochino oramai in una dimensione
che superi ogni forma di democrazia. Lo stesso mondo del lavoro gravita completamente
intorno alla propaganda, e questo significa che il valore di scambio si va sciogliendo
in valore figurativo, per meglio dire nella capacità che il prodotto ha di accendere
sogni, andare incontro ad attese, bisogni indotti e condivisi.
Dove conduce ciò? Il fatto è che, nell'attuale società politica, fra apparenza e realtà, fra attrattiva e verità sembra non
esserci più alcun rapporto. Come illudersi allora che l’apparenza attrattiva
faccia intravedere la realtà profonda dei bisogni sociali? Come illudersi e illudere
stralciando fiducia umana? Svincolata dal suo rapporto con la realtà
e con la verità, la politica ha aperto l’inedita prospettiva di un mondo
diventato favola, sia pure favola per adulti disincantati, liberi da pregiudizi
morali e metafisici. Parimenti, l’immaginata emancipazione si è rivelata un’astuzia,
non già della ragione, bensì dei mercati, del capitalismo, che ha sottomesso la
politica e ha esasperato lo squilibrio sociale.
Diventerà possibile l’agire di costrutto?
Si sveglieranno le coscienze? E l’umanità saprà esistere?
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