Ogni vero mutamento non può che essere primariamente interiore: parlare al cuore dell’uomo è dato imprescindibile per farsi comprendere. Dalle necessità umane non deve nascere la costrizione ma la libertà e l’uomo, poiché ente dialogico e relazionale, vive in una tradizione che altro non è che la forma libera dell’associazionismo sociale. Ora, socialismo, categoria perenne dell’associazionismo, non è frutto di un’epoca storica, piuttosto è vigente in ogni tempo, e implica altresì una possibilità costante della spiritualità. Difatti, il socialismo religioso non rifiuta lo Stato: lo Stato è uno status, per meglio dire, un insieme di relazioni che gli uomini istituiscono. Ciò di cui si ha bisogno, e la realtà del vivere quotidiano lo richiede, è una rigenerazione: una rivoluzione personale-etico-sociale, che consiste nel riproporre il tessuto dei gruppi autonomi associativi.
Tale caratteristica fu peculiare in altre epoche storiche, come la società di società del Medioevo cristiano, che determinò un insieme di autonomie che si compenetravano a vicenda. Ciò non è possibile senza il dato della spiritualità, della ‘religione’, che indica con saggezza metastorica, quali sono i limiti invalicabili dell’attività politica. Non è un caso che siano state proprio le ideologie atee a produrre la concentrazione totalitaria: l’era del capitalismo ha destrutturato la società. Né sono serviti i surrogati della socialità perduta, come i sindacati e i partiti, a riprodurre un’autentica relazione comunitaria, tanto è vero che questi rimangono entità burocratiche, estranee al vero spirito della comunità, socialità autentica.
E, poiché, come asserito: ogni vero
mutamento non può che essere primariamente interiore, che, ancor più, dalle
necessità umane nasce la libertà, ne consegue che non vi è scelta senza intelletto e pensiero, e senza uno stato
abituale del carattere, infatti, l’agire bene e il suo contrario non si danno
senza pensiero e senza carattere. Di per sé il pensiero non muove nulla, ma lo
fa il pensiero che tende a qualcosa ed è pratico; esso, infatti, guida anche il
pensiero alla produzione, dato che ogni produttore produce in vista di
qualcosa, e ciò che si produce non è fine in assoluto, ma è fine in relazione a
qualcosa e per qualcuno. L’evidente limite della politica si racchiude
nel: non si può servire Dio e mammona:
la linea di confine non è fissata, essa deve essere sempre determinata dalla
libera fermezza dell’uomo. Anche tra Popolo e Stato c’è una linea di confine che
deve impedire al Popolo di servirsi dello Stato per fini di utilità di parte, e
allo Stato di servirsi del Popolo annullandone il pluralismo consociativo. La
finalità dello Stato è di produrre condizioni giuste e libere, che consentano la
realizzazione armonica e collaborativa delle finalità consociative: la libertà
e la giustizia sono più largamente possibili nelle società pluralistiche, laddove
cioè coesistono molte famiglie, associazioni, gruppi, etnie. Lo Stato non è
mai, per se, morale, è piuttosto strumento della morale. Rappresenta un assioma regolativo, con ruolo secondario:
suo compito è quello di armonizzare le forze sociali e di difenderle dai
pericoli esterni. Solo il Popolo, di contro, che è primario e più creativo, genera, invece, ciò che è fondamentale: la vitalità dell’organismo sociale.
[Foto: Angelica Kauffmann – Erato]
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