“Alla comprensione della conoscenza
sono di aiuto soprattutto due sensi, cioè: la vista e l’udito, uno dei quali
serve per l’invenzione, la vista, e l’altro per l’insegnamento, l’orecchio” (S. Th., I-II,
q. 79, a. 3 co).
Il visibile indica tutto ciò che è in potenza
rispetto alla capacità di vedere in atto, sia del corpo sensibile sia della
mente. Nella dottrina tomista, i sensi esteriori svolgono un ruolo di
fondamentale importanza nel processo cognitivo. L’Angelico stabilisce una
gerarchia tra i cinque sensi e, tra essi, la vista occupa il primato: la considera
il senso più rilevante. Il maggiore riferimento sull’importanza della vista nel
processo cognitivo si trova nel passo della Metafisica di Aristotele: Per natura, tutti gli uomini desiderano
conoscere. Prova di ciò è il piacere causato dalle sensazioni, poichè anche
fuori da ogni utilità, noi le gradiamo per esse stesse e, soprattutto, le
sensazioni visive. Infatti, non solo per agire, ma anche quando non proponiamo
nessuna azione, preferiamo la vista a tutto il resto. La causa di questo è che
la vista è, di tutti i nostri sensi, quella che ci fa acquisire più conoscenze
e che ci fa scoprire maggiormente le differenze.
É necessario
avere presente che S. Tommaso, seguendo S. Agostino, considera l’esistenza di
tre generi di visione: corporale, che si dà attraverso il senso della vista,
spirituale che si manifesta nell’immaginazione o fantasia, e intellettuale che
si realizza nella comprensione. Tommaso precisa, inoltre, che per conoscere il
significato di un nome dobbiamo tenere presente almeno due aspetti. Il primo è di
esaminare il significato originale del termine che si desidera conoscere. In
seguito, si prosegue verso l’analisi dell’uso che questo termine ha assunto nel
linguaggio quotidiano, e ci fornisce come esempio la parola della visione. Tommaso
spiega che nel suo significato originale indica il senso della vista. Tuttavia,
dovendo dignità e certezza a questo senso, il suo uso si estende anche agli
altri sensi, andando a indicare ogni conoscenza acquisita attraverso esso. Secondo
l’Angelico, noi amiamo i sensi principalmente per due motivi: il primo è perchè
sono utili nella nostra vita. Il secondo è perchè ci aiutano a conoscere meglio
la realtà delle cose. Per questo egli afferma essere “evidente” il fatto di
amare di più la vista che gli altri sensi, poichè essa ci offre una maggiore
conoscenza degli esseri che ci circondano. Infatti, amiamo anche la vista
indipendentemente dalla sua funzione utilitarista, poichè la conoscenza che non
dipende necessariamente dalla sua utilità, è più amabile. Il motivo di questo è
che nella filosofia tomista, il diletto sensibile derivato dalla conoscenza
intellettuale è considerato come intrinseco all’essere umano. S. Tommaso
ritiene che la vista offra una gioia maggiore, poichè il piacere intellettivo,
che da essa ci proviene, è superiore a quello semplicemente sensibile che ci è
dato, per esempio, con il tatto. Considera il
senso della vista come il “più spirituale”, perché quanto più immateriale è una
forma di conoscenza, tanto più perfetta è.
La visio
è la decisiva traccia conoscitiva e, probabilmente, anche l’effettivo modello
di partecipazione tra Dio e l’uomo nel sistema teologico dell’Aquinate. Nella visione si attua l’unione tra l’oggetto
visto e la virtus visiva per cui, in un certo senso, l’oggetto visto ‘entra’ in
chi lo vede, e tali sono i requisiti sia della visione sensibile, che di quella
intellettuale. Tommaso procede quindi all’analisi della visione sensitiva
comune. Qui l’unione può avvenire non ovviamente nell’essenza, quasi che
l’oggetto visto entrasse fisicamente in chi lo vede, ma attraverso la specie
astratta, spogliata della materialità. Nella visione sensitiva l’azione è del
soggetto conoscente, che astrae dall’oggetto conosciuto la species, e tutto questo processo è frutto delle sue capacità
conoscitive del soggetto. Nell’ipotesi irreale Tommaso immagina un oggetto che
sia a capo anche delle facoltà conoscenti del soggetto: in tale caso il
processo conoscitivo non sarebbe più frutto esclusivo delle capacità del
soggetto conoscente, quanto un ricevere dall’oggetto stesso, sia la capacità
conoscitiva stessa, sia inoltre la forma attraverso la quale tale processo può
aver luogo. L’ipotesi irreale diventa la realtà e, ovviamente, non siamo più
nel campo della visione sensibile ma di quella intellettuale. In essa si attua
certamente l’unione tra il soggetto conoscente e ciò che è visto, solo che tale
processo non è compiuto in forza di una qualità posseduta in proprio dal
soggetto conoscente, quanto di un’abilitazione del soggetto conoscente,
partecipata, donata da Dio stesso al soggetto conoscente.
Video: Canale Veritasperle
Foto: Raffaello, Mosè di fronte al
roveto ardente
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