sabato 8 dicembre 2012

“La vista è, di tutti i nostri sensi, quella che ci fa acquisire più conoscenze”




Alla comprensione della conoscenza sono di aiuto soprattutto due sensi, cioè: la vista e l’udito, uno dei quali serve per l’invenzione, la vista, e l’altro per l’insegnamento, l’orecchio” (S. Th., I-II, q. 79, a. 3 co).

Il visibile indica tutto ciò che è in potenza rispetto alla capacità di vedere in atto, sia del corpo sensibile sia della mente. Nella dottrina tomista, i sensi esteriori svolgono un ruolo di fondamentale importanza nel processo cognitivo. L’Angelico stabilisce una gerarchia tra i cinque sensi e, tra essi, la vista occupa il primato: la considera il senso più rilevante. Il maggiore riferimento sull’importanza della vista nel processo cognitivo si trova nel passo della Metafisica di Aristotele: Per natura, tutti gli uomini desiderano conoscere. Prova di ciò è il piacere causato dalle sensazioni, poichè anche fuori da ogni utilità, noi le gradiamo per esse stesse e, soprattutto, le sensazioni visive. Infatti, non solo per agire, ma anche quando non proponiamo nessuna azione, preferiamo la vista a tutto il resto. La causa di questo è che la vista è, di tutti i nostri sensi, quella che ci fa acquisire più conoscenze e che ci fa scoprire maggiormente le differenze.

É necessario avere presente che S. Tommaso, seguendo S. Agostino, considera l’esistenza di tre generi di visione: corporale, che si dà attraverso il senso della vista, spirituale che si manifesta nell’immaginazione o fantasia, e intellettuale che si realizza nella comprensione. Tommaso precisa, inoltre, che per conoscere il significato di un nome dobbiamo tenere presente almeno due aspetti. Il primo è di esaminare il significato originale del termine che si desidera conoscere. In seguito, si prosegue verso l’analisi dell’uso che questo termine ha assunto nel linguaggio quotidiano, e ci fornisce come esempio la parola della visione. Tommaso spiega che nel suo significato originale indica il senso della vista. Tuttavia, dovendo dignità e certezza a questo senso, il suo uso si estende anche agli altri sensi, andando a indicare ogni conoscenza acquisita attraverso esso. Secondo l’Angelico, noi amiamo i sensi principalmente per due motivi: il primo è perchè sono utili nella nostra vita. Il secondo è perchè ci aiutano a conoscere meglio la realtà delle cose. Per questo egli afferma essere “evidente” il fatto di amare di più la vista che gli altri sensi, poichè essa ci offre una maggiore conoscenza degli esseri che ci circondano. Infatti, amiamo anche la vista indipendentemente dalla sua funzione utilitarista, poichè la conoscenza che non dipende necessariamente dalla sua utilità, è più amabile. Il motivo di questo è che nella filosofia tomista, il diletto sensibile derivato dalla conoscenza intellettuale è considerato come intrinseco all’essere umano. S. Tommaso ritiene che la vista offra una gioia maggiore, poichè il piacere intellettivo, che da essa ci proviene, è superiore a quello semplicemente sensibile che ci è dato, per esempio, con il tatto. Considera il senso della vista come il “più spirituale”, perché quanto più immateriale è una forma di conoscenza, tanto più perfetta è.
La visio è la decisiva traccia conoscitiva e, probabilmente, anche l’effettivo modello di partecipazione tra Dio e l’uomo nel sistema teologico dell’Aquinate. Nella visione si attua l’unione tra l’oggetto visto e la virtus visiva per cui, in un certo senso, l’oggetto visto ‘entra’ in chi lo vede, e tali sono i requisiti sia della visione sensibile, che di quella intellettuale. Tommaso procede quindi all’analisi della visione sensitiva comune. Qui l’unione può avvenire non ovviamente nell’essenza, quasi che l’oggetto visto entrasse fisicamente in chi lo vede, ma attraverso la specie astratta, spogliata della materialità. Nella visione sensitiva l’azione è del soggetto conoscente, che astrae dall’oggetto conosciuto la species, e tutto questo processo è frutto delle sue capacità conoscitive del soggetto. Nell’ipotesi irreale Tommaso immagina un oggetto che sia a capo anche delle facoltà conoscenti del soggetto: in tale caso il processo conoscitivo non sarebbe più frutto esclusivo delle capacità del soggetto conoscente, quanto un ricevere dall’oggetto stesso, sia la capacità conoscitiva stessa, sia inoltre la forma attraverso la quale tale processo può aver luogo. L’ipotesi irreale diventa la realtà e, ovviamente, non siamo più nel campo della visione sensibile ma di quella intellettuale. In essa si attua certamente l’unione tra il soggetto conoscente e ciò che è visto, solo che tale processo non è compiuto in forza di una qualità posseduta in proprio dal soggetto conoscente, quanto di un’abilitazione del soggetto conoscente, partecipata, donata da Dio stesso al soggetto conoscente.





Video: Canale Veritasperle 
Foto: Raffaello, Mosè di fronte al roveto ardente

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