mercoledì 1 febbraio 2023

CONOSCI TE STESSO!

Fulcro di ogni sistema civile, necessario alla sussistenza umana, forma comunicativa imprescindibile, è il dialogo che necessita sempre di due parti interagenti, intellettualmente vigili, con chiaro proposito di cooperare alla compiutezza del Bene Comune. Abbiamo, quindi, una prima notizia: i monologhi non sono dialogo. Di monologhi, anche mediocri, è farcito il sistema socio-politico che condiziona tutti gli assetti del nostro Paese. Si potrebbe annoverare, il monologo, tra le cause della crisi valoriale della nostra modernità.  

Di contro, esempio di funzionalità dialogica possiamo riscontrarla in Platone che alla forma del dialogo si attiene in gran parte delle sue opere. In esse, la caratteristica prevalente è la loro raffinatezza compositiva, la vivacità letteraria con cui sono ritratti i personaggi, connotati nelle loro peculiarità individuali, emotive e caratteriali. Ed è risaputo: Platone apprezzava solo contenuti moralmente validi, l’esaltazione del bene e della virtù, ed era favorevole alla censura per eliminare tutto ciò che potesse apparire diseducativo. Affermò il primato dell’etica e dell’educazione, direi anche della poesia, fonte di ispirazione, capace di penetrare le intimità dell’anima. Ora, saper governare la poesia guidandola verso finalità di carattere educativo, riflette sia una tendenza profonda di tutta la cultura greca, la paidèia, termine che significa ‘educazione’, sia l’assunzione di un valore più ampio di ‘cultura letteraria’, poiché in essa la civiltà greca considera prevalente proprio l’aspetto educativo. Se la nostra società accusa lacune e mediocrità forse è anche perché ha dismesso la ‘cultura letteraria’ a favore di strumenti tecnologici, contenuti relativisti, superficiali, ad abuso del ‘virtuale’ e non del ‘virtuoso’ essere. 

Il dialogo serve per suscitare un moto attivo, umanizzante, di partecipazione. E, come quando si compone un testo, questo deve suscitare curiosità, sollecitare ricerca autonoma, è l’autore ad avere predisposto lo scritto in modo da suscitare nel destinatario questo itinerario di scoperte sempre nuove. 

Sussistono, dunque, due livelli di comunicazione: quello che va dal conduttore del dialogo al suo interlocutore e quello che va dall’autore al lettore. Da un passo del Filebo: Socrate, conduttore del dialogo, afferma ad un certo momento che per affrontare la ricerca sul piacere è necessario scegliere un metodo che arrivi alla fine ad un sapere esaustivo. Il suo interlocutore, Protarco, gli fa invece notare con ironia che sarà anche bello sapere tutto, ma che in seconda istanza è necessario conoscere almeno se stessi. (19b-e). Vi è qui una allusione al motto delfico e socratico “CONOSCI TE STESSO”, anche nel senso del conoscere i limiti delle possibilità umane. Ora, le due tesi se prese isolatamente, non sono in grado di esprimere che cosa in quel passo si vuole dire. Si deve tenere conto di entrambe, della necessità di conciliare l’ideale di un sapere completo con i limiti di una conoscenza ristretta a condizioni e problemi specifici, commisurato all’anima di chi compie l’indagine e alle sue esigenze. 

L’interrogare socratico consiste nel porre le questioni in modo che l’interlocutore sia indotto a prendere parte attiva allo sviluppo del ragionamento e raggiunga determinate conclusioni in seguito ad un moto di assenso spontaneo a determinate premesse. Senza questo moto di assenso spontaneo non si ha vera comunicazione, o meglio, comunicare non serve, perché produce una semplice acquisizione di informazioni che non fanno parte delle convinzioni personali. Il decorso dialogico, quindi, ha l’effetto di far partecipare: il lettore non può fare a meno di dare anche una sua risposta alle domande formulate da Socrate, e così diviene protagonista dell’azione persuasiva. 

È rivelatore un passo del Fedro dove Socrate dice che “La potenza del logos, che qui è da intendere come “discorso” o “ragionamento”, non è nient’altro che psicagogia” (271 c) cioè conduzione dell’anima. Per Platone il difetto dell’oratore, e in generale della retorica, è la superficialità, e la conseguente incapacità ad attingere il vero. La proposta educativa di Platone, invece, era di impronta radicale e  sollecitava una doppia ipotesi che non vi può essere persuasione senza un necessario riferimento alla verità, inteso in senso filosoficamente forte, e che per converso la verità si manifesta solo nella persuasione. 

Di conseguenza, ed è assai condivisibile, solo una armonica fusione di questi due fattori poteva produrre una vera educazione e una vera cultura. L’auspicio è che anche nella politica, per la sua finalità di servizio pro Bene Comune, ne assuma qualità.

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