Viviamo immersi in un tessuto sociale volutamente instabile e fluido, la compagine umana si è sgretolata impattando nel gelido senso del vivere egotistico, immorale e dissociativo. Basta guardarsi intorno, intra Nazione e ab extra, Europa, e resto del mondo: emerge una società resa povera di radici, punti di riferimento valoriali, che disdegna ogni criterio assiologico, e si pone sul versante decadente di un relativismo esasperato e oltremodo fluido. C’è da chiedersi: dove si dirige l’umanità? Dove si dirige la società?
Nel linguaggio delle relazioni, ha trovato campo fertile il pensiero superficiale, relativista, ambiguo, quello che scuote le masse senza coordinarle e responsabilizzarle. Ha trovato spazio il fascino dell’opulenza, della millanteria, di velleitarie promesse, mondanità, dannoso attentato alla sana libertà e giustizia. Ci ricorda Luigi Sturzo che è la ragione morale che deve sempre condizionare la ragione politica e la ragione economica e che, quindi, la competenza e la moralità sono da incoraggiare e perseguire.
Il regime del carcere duro, sancito dall’art.41bis non può essere argomento di ricatto e, di sicuro non può essere cancellato per senso di rispetto per chi ha perso la vita per le istituzioni. Lo Stato non può fare un passo indietro, se mai due in avanti! Ergo: chi vuole aizzare caos nel sistema giuridico italiano? Perché operare distrazione comunicativa di massa, a garanzia di delinquenti per i quali questa misura è necessaria, come prescrive la legge?! Esistono i diritti delle vittime che hanno il dovere di essere tutelati, con giustizia, dallo Stato. Il dovere dei delinquenti è quello di scontare la pena secondo quanto prevede l’ordinamento giuridico, il loro diritto è legato all’espiazione della pena. E punto! Perché insistere nell’argomentare con una comunicazione ossessiva su misure di detenzione ampiamente chiare?
Quando si commettono omicidi, attentati, traffici illeciti, estorsioni, quanti dei sottoposti a misura di 41bis si sono posti il problema che stavano eliminando esseri umani, attentando lla stabilitastabilità dello Stato, destabilizzando democrazia, manifestandosi nella loro natura di bestie? Uno Stato civile tutela chi civilmente con lo Stato comunica, nel rispetto delle istituzioni e della propria gente, non stipula patti né stringe mani lorde di sangue!
È risaputo che la democrazia non si conquista mai definitivamente, per questo la politica fa il suo dovere quando comunica, senza veli, con trasparenza, quanto succede nei palazzi. La politica è chiamata a servire il Popolo non mafie, brigatisti, anarchici, massoni!
Cosa non si comprende di ciò? Eppure è di elementare chiarezza in uno Stato di diritto.
Se l’uomo è consapevole di essere un valore che si amplifica nella libertà, anche la democrazia svela in modo speculare le sue finalità, diventa l’anima cosciente del vivere civile realizzandosi storicamente. È importante rilevare che la persona reclama il rispetto dei suoi diritti: se la persona non è sostenuta nei suoi diritti, le istituzioni insultano la sua sacralità, l’autorità si svilisce, la democrazia si trasforma in autocrazia per far da scorta alla tracotanza del profitto economico, peggio di anarchia consociata a masso-mafie bavose di potere.
La giustizia è la caratteristica essenziale della legittimità di uno Stato, il suo fondamento. La vita sociale e politica, la società temporale, lo Stato non sono un ordine di realtà condannabile, ma costituiscono il quadro normale in cui si dispiega la condizione umana creata da Dio. È naturale all’uomo la dimensione sociale e politica: a viverla nei suoi vari gradi e momenti egli è spinto, in un certo senso, dalle leggi della natura. San Tommaso ribadisce questa dottrina in termini chiari: “L’uomo è naturalmente un animale socievole, per cui anche in stato di innocenza gli uomini sarebbero vissuti ugualmente in società” (S. Th. Ia IIae, q. 96, a. 4).
È doveroso attingere a quei valori primari che appartengono alla cultura liberale che entra in simbiosi con la parola della vita e rende savio uno Stato. È fondamentale difendere lo spirito della democrazia come luogo di crescita personale e sociale poiché, soprattutto, una democrazia credibile si ha nella concretizzazione dei progetti, salvaguardando sempre la dignità della persona e la sua libertà. La democrazia si compie e si identifica con la libertà e suo scopo preminente non è il governo delle istituzioni pubbliche, piuttosto la promozione di scelte politiche che promuovano il bene della collettività e la difesa dell’uomo dalla spudoratezza degli arroganti.
Ora, l’individuo, per esprimere più liberamente le sue alternative, per essere artefice del suo avvenire, ha la necessità di un’auctoritas, autorità intesa come autorevolezza a servizio dei bisogni e delle aspirazioni dei popoli, capace di interpretare un obbligo di stabilità, di garanzia, di sicurezza, esigenze indispensabili di equilibrio sociale. Ogni intelligenza politica non ama le ampollose scenografie, non ha mai secondi fini, è meticolosa nel chiarire i meccanismi delle articolate dinamiche che intercorrono tra individuo, società e autorità. La libertà senza autorità può sfociare in un meschino individualismo, padre fecondo di disaccordi, insulse pretese, conflittualità.
Occorrere però intendersi: gli anarchici, e per analogia anche mafie, massoneria, nel modus operandi e forma mentis, hanno come ragione d’essere l’opposizione verso la società esistente, e quindi operano destabilizzando, creando caos, sudditanza, violenza, servilismo, per cambiarne presupposti. Mi chiedo: è normale? È civile? È condivisibile?!
Essi mirano alla costruzione di un ordine/disordine sociale, uno stato che si oppone allo Stato o lo sostituisce, fondato sull’accordo tra individui, costituito dal basso e dal settarismo secretato, guidato dall’arsura di potere e, spesso, da non senso. Come si esercita la libertà individuale nel caos? O meglio, come si opera per la costruzione di una società di liberi e uguali, come vuole anarchia, senza la presenza di istituzioni capaci di regolamentare il vivere civile?
Mi impegnerei a rendere le istituzioni più capaci e competenti, piuttosto che insistere su argomentazioni inopportune, sull’ipocrisia perbenista delle visite carcerarie ad alimento interviste pregiudicate. Occorre lavorare alla umanizzazione e alla razionalizzazione tecnica dell’esercizio del potere, invece di rifugiarsi nei cieli dell’immaginazione, nel sogno mitologico di una società senza Stato, senza conflitti, senza storia. Che proposta è una via di consolazione utopistica o di evasiva fuga surreale?!
Per s. Agostino, come per s. Tommaso, la natura umana è sociale per essenza, e la tendenza associativa degli uomini non è solo istintiva e chiusa, come quella degli animali, ma anche razionale e progressiva, essendo orientata ad attuare i valori morali e l’unità della famiglia umana. La politica, pertanto, non può essere chiusa entro l’orizzonte satanocratico, la giustificazione più solida e abituale della politica è nella socialità dell’uomo.
Tolta la giustizia - scrive s. Agostino - che cosa sono i regni se non grandi brigantaggi? E le bande dei briganti che cosa sono se non piccoli regni? Non sono forse anch’esse un manipolo di uomini, retti dal comando di un capo, legati da un patto sociale, che si dividono la preda secondo la legge accettata da tutti? Se questo flagello con la recluta di nuovi malfattori cresce tanto da occupare paesi, da costruire proprie sedi, da impadronirsi di città e soggiogare i popoli, prende in maniera più evidente il nome di regno; nome che gli viene ormai apertamente conferito non dalla diminuita cupidigia, ma dalla raggiunta impunità. (De civ. Dei, IV, 4).
Con i mezzi che gli sono propri, che sono essenzialmente giuridici, lo Stato deve, pertanto, garantire i diritti dei cittadini ed attuare la giustizia, senza la quale non è possibile, a nessun livello, una vera e stabile pace.
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