In
virtù del grande frastuono referendario mi chiedo e chiedo: ma la Carta Costituzionale
non è elemento sostanziale di uno Stato? Non dovrebbe essere guida e sostegno
di unità nazionale e rappresentarne l’ancora identitaria? Non dovrebbe
determinare intesa, unanimità, equità di trattamento, lungimirante veduta
nazionale? Non dovrebbe essere l’elaborato composto di una rappresentanza
politica eletta, piuttosto che la redazione parziale, da parte di non eletti, per
attrattive che non si capisce verso quale orizzonte dirigono?
E ancora:
perché si parla di innovazione, sburocratizzazione, diminuzione di costi, quando
il problema dell’Italia, soprattutto negli ultimi decenni, è cronico e consiste
nella irresponsabilità politica, nell'irrazionalità di cui si alimenta, nel
comunque complicare la vita dei cittadini, confonderli, lasciarli a se stessi, e
che non tiene conto del fatto che due generazioni non sapranno di che cosa
dovranno vivere poiché, causa assenza di lavoro, crisi economica da cui non si
riesce a uscire, guai infra governi, non potranno maturare anni di contributi
dovuti.
Perché
non fare prima i conti con il disordine che alberga la politica, e tutte le
realtà circostanti e parallele che non fanno altro che compiacersi a vicenda?
Politica, e dintorni, assai scombinati e ancorati alla propria inconsistenza,
che hanno voluto che il Popolo si allontanasse e perdesse fiducia nella rappresentanza
politica. Perché non partire dalla gente non proponendo frastuono referendario,
che non ha chiesto, piuttosto attivandosi per risolvere quanto anche con la
riforma costituzionale non si potrà risolvere? Tutto è migliorabile, ma con
senno e responsabilità d’azione, con verità comportamentale che chiede giudizio
e non contrapposizioni su materie così importanti. La sostanza della politica è
il bene comune e la centralità della Persona, non la veduta delle parti
politiche, dei ricatti interni ai partiti, dei movimentisti sobillatori d’animo
e di pancia.
Ripensare
magari la parola “democrazia”, governo del Popolo, per uno Stato non sarebbe il
male peggiore rispetto la realtà di una vita sociale così altamente manipolata.
I Costituenti hanno il dovere di unire un Paese, non di proporre un cambiamento
non chiaro, tantomeno di paventare un disastro nazionale. È la legge del
ricatto che può funzionare per i corruttibili, ma non potrà mai scalfire chi ha
una testa pensante e una capacità vigile al ragionamento.
L’uomo
deve ribellarsi alla legge ingiusta, poiché va a sfavore del bonum, deve ribellarsi a
un’autoreferenzialità miope rispetto alla realtà sociale, deve ribellarsi dalla
minaccia dell’inconsistenza politica in cui s’imbatte ogni volta che chiede
risposte. Premessa fondamentale della ragion pratica, chiesta precipuamente alla
politica, è che si deve fare il bene ed evitare il male. Dio ci ha dato “il
lume della ragione naturale per discernere cosa sia bene e cosa sia male” (S. Th., I-II, q. 91, art. 2). E il
discernimento si compie per via razionale, nel senso preciso del termine, ossia
con un ragionamento.
Ora,
valutare un tipo di condotta, per via razionale, significa esaminare se essa
porti a realizzare uno dei molteplici tipi di beni umani, soprattutto se,
realizzandone uno inferiore, non ne impedisca uno superiore. Vale a dire:
realizzando la sicurezza economica, per esempio, in qualche modo non calpesti la
giustizia distributiva. Tommaso d’Aquino ci insegna che l’uomo è una realtà
complessa; egli esiste come ogni altro ente, e tende a conservarsi; è un animale,
e come tale tende a potenziare la sua vita animale, a procreare e a propagarsi;
è razionale, ed è questa la sua differenza specifica. Faccio mio
l’insegnamento di Tommaso, concedendomi dallo stesso, per analogia, una
comparazione con l’uomo politico: egli è una realtà complessa; esiste
come ente e tende a conservarsi; è un animale e punta, come tale, a
potenziare la sua vita animale, a procreare nel proprio feudo e a riprodursi; Non
è razionale, poiché se lo fosse stato, avrebbe fatto la differenza
specifica per la società!
Urge
che si ravvivi la via razionale in politica, sia nazionale, sia europea: virtù
e vizi sono habitus, come dice
Tommaso, sono una qualitas inclinans,
non singoli atti. Spogliarsi dei vizi e vestirsi di virtù, determina il bonum ambìto, il dato valoriale senza il
quale non si può operare per alcuno se non per se stessi. Ergo: uscire dal
frastuono è obbligo morale, ambire al bonum
è l’imprescindibile tendere.
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