Recensione
del
libro di S. Em.za il cardinale Ennio Antonelli: Crisi del Matrimonio & Eucarestia, Edizioni
Ares, Milano 2015, divulgata
in
due parti su Zenit.org, di
seguito riproposta integralmente.
“Ritengo
che questo scritto riesca a coniugare e ribadire la preziosa dignità
del matrimonio cristiano, come è stato vissuto nella Chiesa
cattolica, con la comprensione delle situazioni concrete e complesse
che condizionano la responsabilità soggettiva dei coniugi. Quello
che emerge è che il tesoro di dignità e di grazia che è stato
consegnato alla Chiesa chiede di essere rafforzato e illustrato anche
a beneficio di chi si trova in situazioni critiche o di fragilità: è
aumentando la luce che si generano il rinnovamento e la forza per
percorrere il cammino” (p. 6). Queste parole tratte dalla
Prefazione del card. Sgreccia all'agile e denso testo del Card. Antonelli sulla crisi del matrimonio ovvero del
matrimonio in crisi ed
il sacramento dell’Eucarestia, ne sintetizzano in modo chiaro e
puntuale il valore del suo contenuto e soprattutto la sua utilità al
fine di affrontare le varie problematiche della
e
sulla
famiglia
cristiana oggi, soprattutto in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi.
Quello
che ci sembra importante notare subito è che il testo è frutto
della solida formazione e della lunga esperienza di pastore
dell’Autore. Proprio per questo egli è riuscito con il presente
testo a dare un contributo sintetico ed autorevole ai problemi della
crisi del matrimonio, della “famiglia tradizionale” ed alla
questione dell’eventuale ammissione delle coppie dei divorziati
risposati all’Eucarestia. Dopo una breve premessa, nella quale si
spiegano soprattutto i motivi, il senso ed il fine del suo scritto,
l’Autore affronta le varie tematiche in otto concisi capitoletti.
È
prima di tutto importante notare la sua ferma convinzione che oggi la
principale urgenza pastorale è la formazione di famiglie cristiane
che siano testimoni e modello nella società contemporanea, capaci di
manifestare nella realtà della vita quotidiana che il matrimonio
cristiano non è un’utopia, ma una possibilità concreta bella e
possibile da realizzare. Di fatto, sono esse, più di qualunque
altri, “… che possono annunciare il vangelo della famiglia, ‘non
come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una
gioia’ (Papa Francesco, Evangelii
gaudium,
14)” (p. 12). In concreto, dato il contesto culturale
postcristiano, la pastorale dovrà concentrarsi in modo tutto
particolare nell’educazione teorica e pratica dei ragazzi e dei
giovani all’amore cristiano, inteso come dono di sé, comunione e
rispetto dell’altro; nella seria preparazione dei fidanzati al
matrimonio, mediante
itinerari commisurati alle diverse situazioni spirituali, culturali,
sociali affinché esso sia non solo valido, ma anche fruttuoso;
l’accompagnamento degli sposi, in modo particolare nei primi anni
di matrimonio, attraverso incontri periodici condotti da coppie di
sposi ed esperti. In ogni caso ciò che deve essere alla base di
questo impegno e lo deve ispirare, è il punto fermo e non
negoziabile dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, rato e
consumato, che si fonda sull’amore oblativo dei coniugi promesso
per la vita ed aperto alla vita. Alla luce di questo punto fermo,
l’Autore partendo dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione,
dimostra il non senso e l’intrinseca contraddittorietà della sola
ipotesi di poter ammettere i divorziati risposati all’Eucarestia
fin tanto che dura detta unione; quanto sopra, nota giustamente
l’Autore, vale anche per altre situazioni analoghe di oggettivo
disordine morale. “Questa esclusione non discrimina i divorziati
risposati rispetto al altre situazioni di grave disordine oggettivo e
di
scandalo
pubblico. Chi ha l’abitudine di bestemmiare deve impegnarsi
seriamente a correggersi; chi ha commesso un furto deve restituire;
chi ha danneggiato il prossimo materialmente o moralmente, deve
riparare. Senza impegno concreto di conversione, non ci sono
assoluzione sacramentale e ammissione all’Eucarestia. Non devono
essere ammessi tutti coloro che ‘perseverano con ostinazione in un
peccato grave manifesto’ (CIC, 915). Non ha quindi senso pensare a
fare un’eccezione per i divorziati risposati che non si impegnano a
cambiare forma di vita o separandosi o rinunciando ai rapporti
sessuali.
Esclusione
dalla comunione eucaristica non significa esclusione dalla Chiesa, ma
solo comunione incompleta”
(pp. 1516) che richiede una vicinanza attenta e misericordiosa da
parte della Chiesa. Non dimenticando al riguardo che pur non essendo
possibile, per i motivi visti, l’ammissione ai sacramenti della
Penitenza e dell’Eucarestia, questo non esclude l’accesso alla
misericordia di Dio per altre vie e che in ogni caso la grazia di Dio
non è legata ai sacramenti (cf Familiaris
consortio,
84; Reconciliatio
et poenitentia,
34; “Sciendum tamen quod, sicut Deus virtutem suam non alligavit
sacramentis quin possit sine sacramentis effectum sacramentorum
conferre …”: S.
Th. III,
64, 7 c). L’Autore prende quindi in esame in particolare i nn. 25,
41 e 52 della Relatio
Synodi 2014,
che trattano dell’approccio pastorale verso le persone che hanno
contratto matrimonio civile, che sono divorziate e risposate ovvero
conviventi, e spiega ancora più dettagliatamente, sempre alla luce
della Scrittura e del Magistero, il non senso di una loro ammissione
ai sacramenti, anche solo in determinate circostanze e situazioni. In
particolare, riguardo alle unioni illegittime scrive, alla luce del
principio, purtroppo spesso dimenticato da più di qualcuno, bonum
ex integra causa malum ex quocumque defectu,
“Certamente anche le unioni illegittime contengono autentici valori
umani (per esempio, l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno
condiviso verso i figli), perché il male è sempre mescolato al bene
e non esiste mai allo stato puro.
Tuttavia
bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori
imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini. […] La legge della
gradualità riguarda solo la responsabilità soggettiva delle persone
e non deve essere trasformata in gradualità della legge, presentando
il male come bene imperfetto. Tra vero e falso, tra bene e male non
c’è gradualità. Mentre si astiene dal giudicare le coscienze che
solo Dio vede, e accompagna con rispetto e pazienza i passi verso il
bene possibile, la Chiesa non deve cessare di insegnare la verità
oggettiva del bene e del male, mostrando che tutti i comandamenti
della legge divina sono esigenze dell’amore autentico …” (pp.
3132 e cf anche pp. 4244 dove riprende e spiega più analiticamente
la differenza tra “legge della gradualità” e “gradualità
della legge”). Questo si applica, ovviamente, anche alle unioni
omosessuali. Non è quindi pensabile un
perdono da parte di Dio senza conversione e
questo vale per tutte le possibili situazioni prese in esame, ma in
modo particolare nei casi di matrimoni naufragati anche per la colpa
di uno solo dei coniugi, che mai potrà giustificare un nuovo
matrimonio, data la validità del precedente (cf p. 34). Non
dimentichiamo che al riguardo abbiamo delle definizioni chiare del
Concilio di Trento che non possono essere messe in discussione se non
minando l’attendibilità dello stesso istituto conciliare e del
Magistero (cf Concil.
Trident.,
sess. XXIV, c. 5.; Concil.
Trident.,
sess. XXIV, c. 7; Pio XI, Casti
connubii).
In questa prospettiva prende in esame e critica la prassi in uso
presso le Chiese Ortodosse di concedere l’autorizzazione per un
nuovo matrimonio dopo aver sciolto il precedente (cf pp. 3536; 51).
Quindi
l’Autore affronta il tema dell’indissolubilità del matrimonio
sacramentale, rato e consumato, sul quale neppure la Chiesa ha alcun
potere e che costituisce un caposaldo della pastorale chiamata ad
evitare immobilismo, cambiamento, ma allo stesso tempo impegnata
sempre di più in una fedeltà
creativa (cf
pp. 4554). Successivamente
prende in esame il significato ed il valore dell’amore,
dell’indissolubilità e della validità
del matrimonio sacramentale. In questo contesto accenna, e purtroppo
non sviluppa, il ruolo della fede per la validità del sacramento del
matrimonio, tema toccato anche durante la III Assemblea Generale del
Sinodo dei Vescovi (cf Relatio
Synodi,
48).
A
nostro sommesso avviso, questo aspetto è l’unico che l’Autore
doveva forse sviluppare vista la confusione di cui è al presente
oggetto. Infatti, pensare a ritenere la fede criterio per stabilire
la validità di un matrimonio sacramentale, ci sembra che vada contro
la realtà oggettiva ed in modo particolare andrebbe a creare più
problemi di quelli che intende risolvere. Per queste ragioni ci
sembra opportuno dire qui qualcosa al riguardo. In particolare,
all'introduzione di una specifica
forma
ad
validitatem inerente
alla volontà di sposare nel Signore (e dunque una forma liturgica
attinente alla fede personale dei nubendi), risulta assolutamente
pregiudiziale la soluzione del problema dottrinale se la fede sia
obiettivamente ad
substantiam del
sacramento del matrimonio, ove non intendiamo solo un problema di
validitas
giuridica,
ma di vera e propria sostanza sacramentale, sulla quale, però, la
Chiesa non ha alcun potere. Infatti, l’introduzione di ulteriori
requisiti giuridici ad
valditatem porterebbe
quale indubbia conseguenza l’aumento esponenziale dei matrimoni
obiettivamente nulli, ed esporrebbe conseguentemente all'ulteriore
problema pastorale di far vivere molte coppie nel peccato.
Aumenterebbero esponenzialmente anche i casi di matrimoni
dall'incerta validità, col conseguente dovere, per la Chiesa, di
dire a due coniugi ancora di più in presenza di crisi matrimoniale
se essi siano effettivamente sposati o meno nel Signore. Ove, infine,
gli sposi non intendessero invece simulare, in assenza di fede, la
nuova ed imposta formula, e dunque preferissero anzi non sposare
coram
Ecclesia,
si restringerebbe il loro ius
connubii,
negando ai battezzati, per il solo fatto che essi non hanno una fede
matura, un istituto di diritto naturale, dalla Chiesa eppure
pienamente riconosciuto anche ai non battezzati nella forma del
matrimonio legittimo.
In
ogni caso, il presente testo del card. Antonelli rimane un testo
chiaro ed utile per tutti coloro che, come ci ricorda l’Apostolo
Pietro, vogliono essere sempre pronti “…a rispondere a chiunque
vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia
fatto con dolcezza e rispetto“ (1
Pt 3,
15). Soprattutto in questo spazio di tempo che ci separa dalla
celebrazione della prossima XIV Assemblea Generale Ordinaria del
Sinodo dei Vescovi, chiamata a presentare la “fisiologia” della
famiglia e dopo la precedente III Assemblea Generale Straordinaria
che ne aveva trattato, se così si può dire, le “patologie”, è
necessario e doveroso conoscere ciò che costituisce il cuore
dell’annuncio evangelico sulla famiglia. Prendere coscienza del
progetto di Dio che sicuramente potrà oggi apparire quasi un’utopia,
ma che alla fine si riconosce e si scopre essere il desiderio più
sincero, anche se forse nascosto e confuso, di ogni uomo e di ogni
donna. L’A. contribuisce a superare l’idea infondata, ma
purtroppo molto diffusa, di una Chiesa che respinge alcuni suoi
figli, di una Chiesa che emargina in modo ipocrita e privo di
misericordia, ed aiuta a capire che quanto Dio chiede è per il
nostro vero bene e che il vero amore non dispensa mai dal sacrificio
e dal perdono. Questa è stata la profonda ed intima convinzione dei
cristiani dei primi secoli (cf p. 60).
Il
nostro augurio è che questa sintesi del Card. Antonelli aiuti tutti
a riscoprire la ricchezza del messaggio
cristiano sulla famiglia e soprattutto costituisca un valido
strumento per evitare quella confusione
nella quale purtroppo ha fatto cadere quel “Sinodo mediatico”
che è cosa ben diversa da quello che realmente si è svolto (v.
intervista al Card. Baldisseri rilasciata a ZENIT il 25 giugno 2015).
Il Popolo di Dio, e soprattutto i suoi ministri e pastori, hanno
bisogno di certezze e non di discussioni che ingenerano false e
devianti aspettative che minano alle fondamenta la stessa missione
della Chiesa. Infatti, non si può non tener conto di quanto è
avvenuto dopo l’ultimo Sinodo straordinario e come sono state
stravolte dai mass
media alcune
discussioni su alcuni degli argomenti affrontati e come molti
sacerdoti e fedeli le hanno recepite. Se un cardinale durante il
Sinodo ha dovuto richiamare il vicario giudiziale che andava dicendo
che ormai era inutile presentare i libelli per introdurre la causa di
dichiarazione di nullità di matrimonio, se persone omosessuali
conviventi credono che il loro comportamento non è più peccato o se
un parroco dice a dei divorziati risposati che possono
tranquillamente accostarsi all’Eucarestia, questo è segno che
qualcosa deve essere rivisto nel modo di comunicare ed informare, e
questo non significa sicuramente giudicare le intenzioni ed i
propositi di nessuno, ma essere realisti e fare il meglio per il bene
del Popolo di Dio. Infatti, la Chiesa è fedele alla missione datale
da Cristo nella misura in cui è impegnata senza riserve a servire la
Parola di Dio per gli uomini.
Un ministero sicuramente impegnativo e
delicato che richiede una continua attenzione e capacità di
discernimento, una pronta disponibilità al dialogo, al confronto al
fine di attualizzare la verità di Dio, che non cambia, per
incarnarla nelle diverse culture per facilitarne l’accoglienza e la
comprensione (cf Mc
6,
11). In tutto questo impegno nell’annuncio di quella verità che
sola veramente libera (cf Gv
8,
32), i pastori della Chiesa non dovranno, comunque, mai illudersi, di
ricevere l’accoglienza del mondo (cf Gv
15,
1821) e umilmente dovranno sentirsi sempre amministratori delle cose
di Dio (cf 1
Cor 4,
12) e di essere
chiamati da Cristo ad essere quel sale che dà veramente gusto alla
vita (cf Mt
5,
13; Ef
4,
124), coscienti di dover essere sempre e dovunque testimoni credibili
che invitano a condividere la gioia e la fortuna dell’essere
cristiani agli
e
con gli
altri,
proponendo alla loro libera, cosciente e responsabile scelta il
progetto originale di Dio sul matrimonio con il medesimo spirito,
rispetto ed atteggiamento del Signore: “… se vuoi entrare nella
vita …” (Mt
19,
17; e cf anche Mc
6,
713) questo
è l’unico e vero matrimonio.
No, aspetta: mi chiedevo se non si potesse considerare anche il consenso matrimoniale come espresso in una duplice dimensione, in fieri e in facto, come il matrimonio. In fieri sarebbe la dimensione di volontà espressa nella forma prescritta; in facto la volontà manifestata in comportamento che manifesta una inequivoca volontà matrimoniale. Anche il diritto civile riconosce l'importanza della vita matrimoniale, quando nega la delibazione a matrimoni con convivenza ultratriennale, senza equipararli a fenomeni non matrimoniali, come le unioni di fatto. E come si riconosce una gradualità nella maturazione della fede dei coniugi, così si potrebbe riconoscere una graduale maturazione del loro consenso matrimoniale, evitando di dover valutare solo il momento dell'in fieri ai fini della esistenza o non del consenso. Grandi comunque p. Bruno e il card. Antonelli!
RispondiEliminaGrazie Pier Filipppo, sempre generoso nel tuo intendere ... ne darò conto ... Un abbraccio
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