venerdì 25 maggio 2012

L'inerzia del giusto: nocumento di amore a se stesso e al prossimo


Sosteneva Einstein: “Il mondo è quel disastro che vedete non tanto per i guai combinati dai malfattori ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”. Ora, se nella maggior parte della società si anela desiderio di giustizia, responsabilità, ragionevolezza, e in questa direzione opera, vi è, tuttavia, in essa, una presenza minore, che si diverte a confondere, a disincantare, ad allontanare da Colui che solo può, in ogni tempo, Dio Padre, e che vorrebbe far passare l’idea di identificare nell’ ‘uomo’ un onnipotente, determinando così povertà di spirito. 

L’inerzia dei giusti, prima di corrompere la politica, l’economia, corrompe dunque in sé la persona, la impoverisce nel suo essere, nel coraggio, inducendola a una deriva dell’inconsistenza e, peggio, a favore del nulla sociale.  

Tuttavia, poiché non c’è niente di peggio che l’abbandono alla povertà intellettuale, proviamo a tornare luce all’opera uomo, nel creato, attraverso la bellezza che in sé custodisce.

Nel momento in cui  coglie se stesso come esistente, l'uomo, con responsabilità, piuttosto che girarsi dall’altra parte, la tiepidezza comportamentale testimonia mancanza di amore per se stesso e per il prossimo, è chiamato a prendere posizione, a rispondere all'esistenza di fronte a un quadro di valori. È chiamato a prendere in mano la propria vita e a essere pienamente se stesso. La coscienza etica pondera, con rettitudine, i beni che sorgono nell'orizzonte della coscienza personale, afferra l'esigenza e l'obbligo di dover rispondere, vive il sentimento della gratificazione per aver risposto correttamente attraverso il proprio agire, o dell'indignazione e della vergogna nel caso contrario, ma afferra l'esigenza di dover rispondere, come dato umano.

La responsabilità morale risponde all'appello dei valori che emergono dalla coscienza personale. Coinvolge la libertà fondamentale dell'individuo, le sue motivazioni e intenzionalità più profonde espresse nei gesti esterni che spesso non riescono a rivelare completamente tutto il dinamismo della decisione morale interiore. Certi comportamenti, anche se la legge civile cerca di determinare un orientamento di ordine sociale e, tuttavia, non codifica le norme che regolano la coscienza, rimangono sempre sotto il giudizio della coscienza morale e, in ultima istanza, di Dio Padre. Tra diritto e morale esiste tuttavia un rapporto di congiunzione. Ambedue sono al servizio della persona, base e fondamento del bene comune. Non è la legge o la morale a creare i diritti della persona, ma ambedue sono chiamate a prenderne atto e ad adoperarsi per tutelarli, svilupparli, difenderli.

La legge naturale, scritta e impressa nell'animo di ciascuno, non è altro che la ragione stessa, che ci comanda di fare il bene, e proibisce di fare il male. Sopra la lex umana vi è, afferma Tommaso d’Aquino, la lex naturalis, e sopra questa la lex aeterna o legge divina. Lungi dall'oscurare la grandezza e la libertà dell'uomo, questa dipendenza dalla legge di Dio, nostro creatore e legislatore, ne è al contrario la garanzia e il fondamento: libera da ogni altra schiavitù. Tutto ciò che mette l'uomo in contatto con l'assoluta perfezione che è Dio, lo accresce in dignità e grandezza. Lo abbassa, al contrario, tutto ciò che lo subordina interamente a forze impersonali a lui inferiori, quali la materia, la seduzione dell’arroganza, la viltà.

Con Cicerone possiamo ripetere che “Noi dobbiamo essere tutti servitori della legge per poter essere liberi”, e questo vale non solo nei riguardi della legge umana, ma soprattutto nei riguardi della legge naturale e della legge divina. Solo così è rispettata la vera autonomia della persona umana ed anche della legge giuridico-morale, poiché è la ragione stessa che la indica all'uomo, e il fondamento ultimo di essa sta in un'autorità che è fuori dell'uomo e che ha stampato questa legge nell'anima umana, per la quale è sorgente di libertà e di crescita spirituale. E ciò è vero in quanto la legge di Dio o legge naturale è conosciuta e va osservata attraverso la mediazione della nostra coscienza che è l'annunziatrice della legge di Dio a ciascun uomo, come dicevano i teologi classici. Di conseguenza, solo chi opera secondo la legge, opera secondo ragione, opera nella luce della Verità, e solo allora sarà massimamente libero e padrone di se stesso, sarà veramente uomo, perché sarà nella Verità. La Verità, infatti, fonda la libertà e la libertà vive solo nell'ambito della Verità. Così è l'errore che ci rende schiavi, fuori della Verità non c'è libertà, e si diventa complici nell’inerzia dei giusti.

L'isolamento egocentrico, il non prendere responsabilmente posizione, non è solo un attentato verso gli altri, ma un attentato verso se stessi. L'individuo realizza il suo passaggio alla vita personale soltanto incontrandosi con gli altri in una comunità libera in cui all'io si sostituisce il noi, che non nega i singoli, ma tutti li arricchisce e per così dire li «costituisce» nel contatto con gli altri, poiché l'uomo è naturaliter socialis, e domanda di unirsi agli altri nella comunicazione spirituale dell'intelligenza e dell'amore. Non vi può essere così vera carità senza giustizia, la vera carità presuppone la giustizia, perché la prima carità, la prima prova d'amore verso il prossimo è proprio quella di usargli giustizia, altrimenti sarebbe una menzogna, un’ipocrisia, una maschera o mistificazione della giustizia. Bisogna, quindi, dare prima a ciascuno ciò che gli spetta, cioè il suo, se si vuole arrivare a dare più del suo, cioè, il nostro e, se necessario, anche noi stessi. La vera carità è oltre non al di sotto della giustizia: essa comincia là dove la giustizia finisce. Né vi può essere vera giustizia senza carità, la vera giustizia presuppone la carità, in quanto la giustizia è, a suo modo, una forma di amore, orientata com'è al servizio dell'uomo, ed è l'amore che spinge a una conoscenza sempre più adeguata e profonda dei diritti del prossimo, altrimenti crederemo di aver sempre dato troppo agli altri e sempre poco a noi stessi.

«L'amore di sé», attesta l'insegnamento di Caterina da Siena, è radice «dell'ingiustizia»; una critica condotta fino in fondo, fino alle esigenze della verità, è la base della giustizia, e la chiave del bene comune. C'è qualcosa di più, che nasce dal profondo dell'essere umano e che, rannicchiato in qualche angolo nascosto del nostro cuore, fa fatica a volte a riconoscere se stesso e a riconoscere l'altro come suo simile, creatura nata a immagine e somiglianza di Dio. Ciò, compiutamente, ci riporta all'assunto dottrinale di Tommaso d'Aquino illustratoci nella Summa Theologiae, I-II, q. 94., a. 2: “... l'intelligenza scopre...”. Se l'uomo è segno altissimo dell'immagine divina, se questo segno è dato dalla sua libertà soprattutto, ecco allora che la società degli uomini non può avere altro tessuto connettivo che quello della carità, una carità ovviamente che va ben oltre una solidarietà esistenzialmente necessitata, e che urge di azioni di responsabilità e coraggio.

La Verità ci renderà liberi, anche nel campo giuridico-morale: «Veritas liberavit vos». (Gv 8, 32). E, con il Savonarola: “La verità è la perfezione del nostro intelletto e la purezza della coscienza, è la disposizione necessaria per ricevere la verità, quanto più l'uomo è purificato dagli attaccamenti terreni, tanto più conosce e abbraccia le verità e allontana le falsità da se stesso”


Cfr. M. F. Carnea, Il Concetto di giustizia in S. Tommaso d'Aquino, in Reportata, 2012.
 

[Foto: Michelangelo, Giudizio Universale, I dannati] 


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