La predica di Antonio Montesinos del 21 dicembre 1511 determinò una esemplare affermazione di tutela dell’essere umano nel mondo. Con la sua presa di posizione, decisa e incisiva, si è rinnovata la storia umana con un respiro di libertà, nel desiderio espresso di non tacere, piuttosto denunciare la verità, pulendo l’accaduto dei suoi tempi da soprusi inaccettabili, lesivi della dignità dell’uomo. E ritorna attuale l’esempio di legittimità negata dei più elementari diritti umani, diritti naturali, proponendo riflessioni importanti, nonché possibili analogie con la modernità.
Nel 1510 alla Isla Española, nome dato dagli spagnoli all’isola dei mar dei Caribi, attualmente Repubblica Dominicana e Haiti, arrivarono i primi frati dell’Ordine dei Predicatori, guidati da P. Pedro de Córdoba. Subito entrarono in contatto diretto con i nativi, specialmente con i “naborias”, come si chiamavano coloro che servivano nelle case degli spagnoli e molto presto si resero conto dei maltrattamenti e abusi che si commettevano contro gli abitanti dell’isola. Rimasero sconcertati dalla condizione in cui le popolazioni locali si trovavano e dinanzi l’evidente sottomissione e oppressione degli indios, la comunità dei domenicani studiando a fondo l’ingiusta situazione, decise di denunciare pubblicamente quanto stava accadendo. Non potevano tacere, poiché “a questo si sentivano obbligati dalla professione che avevano fatto”. Era necessario palesare ai coloni la loro colpa per l'oppressione che stavano esercitando sugli indios. In termini diversi, e ambiti diversi, ma analogicamente, la realtà dei nostri tempi è molto simile, e per popoli interi e per singole persone.
Prepararono la denuncia in forma di omelia e, una volta redatto il testo, avendolo firmato tutti, fra Pedro de Cordoba, incaricò fra Antonio Montesinos di pronunciarlo nella messa principale della quarta domenica di Avvento: era il 21 dicembre 1511, a poco più di un anno dall’arrivo dei frati nell’isola.
L’estratto de testo del sermone, fra Bartolomé de Las Casas lo inserì nella sua opera Storia delle Indie (libro III, capitolo 4). Ecco quanto egli riporta: “… Sono la voce di Cristo che grida nel deserto di quest’isola. Pertanto si conviene che con attenzione, non una attenzione qualsiasi, ma con tutto il vostro cuore e tutti i vostri sensi, l’ascoltiate, la qual voce sarà per voi la più nuova che mai udiste, la più aspra e dura e la più spaventevole e pericolosa che mai avreste pensato di ascoltare … Questa voce vi dice che siete tutti in stato di peccato mortale a causa delle crudeltà e dei soprusi che fate subire a queste popolazioni innocenti. Ditemi: con quale diritto, in nome di quale giustizia tenete gli indiani in una schiavitù così crudele e terribile? Con che diritto avete scatenato così tante guerre esecrabili contro questa gente che viveva in pace nella propria terra e che voi avete oppresso con innumerevoli morti e stragi mai udite? Perché li opprimete così tanto e li sfinite, non dando loro da mangiare e non curandoli quando sono malati dal momento che essi si ammalano e muoiono a causa del lavoro eccessivo a cui voi li costringete; o meglio, perché li uccidete per ammassare ogni giorno un po’ di oro in più? E che premura avete perché si insegni loro la dottrina, conoscano il loro Dio e creatore, siano battezzati, ascoltino la Messa, rispettino le feste e le domeniche? Non sono anch’essi degli uomini? Non hanno anch’essi un’anima come ogni creatura razionale? Non avete il dovere di amarli come voi stessi? Proprio non capite? Siete forse immersi in un profondissimo letargo?”.
Queste parole sollevarono un vero e proprio scandalo. Il governatore di Hispaniola, Diego Colombo, in seguito all'accusa rivolta dal frate di sostenere e predicare dottrine che mancavano di rispetto al re e al suo governo, predicando una “dottrina nuova”, pericolosa poiché metteva in dubbio i diritti che il re vantava sulle Indie e quelli dei coloni a servirsi del lavoro degli indigeni, portò la causa a corte per avere il giudizio reale. In un primo momento, il re Ferdinando e il cardinale francescano Francisco Ximénez de Císneros, arcivescovo di Toledo, dopo aver formato una commissione d'inchiesta, definirono senza fondamento le eloquenti rimostranze dei domenicani. In seguito, Montesinos si recò in Spagna e perorò la causa degli indios con tale passione che il re, dopo aver affidato la questione ad una commissione di teologi e di giuristi, emanò nel 1512 le Leyes de Burgos, un primo tentativo di porre delle regole al sistema coloniale. In queste leggi si dava formale riconoscimento ai diritti degli indios come sudditi del re spagnolo. E in qualità di "sudditi liberi del Re", essi potevano tuttavia essere obbligati a rendere determinate prestazioni materiali per ripagare l'istruzione e i servigi spirituali resi loro dalla Corona e dai coloni, ma mai in qualità di schiavi. Gli abusi tuttavia non cessarono. Ai primi domenicani si aggiunsero altri frati nel denunciare le ingiustizie e gli abusi del requerimento, a cui gli indios dovevano sottostare. In questa direzione si orienteranno le altre ordinanze reali, ma anche le bolle pontificie. Papa Adriano VI emanò, il 9 maggio 1522, la bolla Omnimoda auctoritas pontificia, in cui dava disposizioni su come trattare gli indios, regolando l'attività dei missionari.
Las Casas |
Fu un primo passo determinante per la difesa e tutela dei diritti e della libertà dei popoli e dei singoli uomini e si assistette al suo sviluppo quando il teologo domenicano, Francisco de Vitoria, consacrò i diritti dei popoli aborigeni, divenendo il precursore della Carta dei diritti dell’uomo, che poi vedrà la luce nel 1789, e dello ius gentium adottato dall'Assemblea delle Nazioni Unite nella dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948.
Per una valutazione dell’attualità, del pensiero moderno, in materia di diritti umani, sempre in divenire e mai assoluta conquista, dato il reale “movimento dei popoli” e le “esigenze lavorative umane”, nei contesti internazionali in cui il concetto di rispetto della dignità umana subisce valutazioni altalenanti, diviene d’ausilio il ragionamento di Francisco de Vitoria per il quale, il diritto alla scoperta è destituito di ogni fondamento perché gli indios, prima dell'arrivo degli spagnoli, erano legittimi domini delle loro terre.
II fondamento del loro dominio è la natura razionale: «Sola creatura rationalis habet dominium sui actus», perché, come insegna Tommaso d’Aquino, uno è padrone dei suoi atti quando è capace di scegliere: dunque solo l'uomo (non l'animale) e tutti gli uomini. Quindi, confutando le tesi ispirate alla teoria aristotelica della schiavitù naturale e basandosi sul principio evangelico dell'uguaglianza di tutti gli uomini, in quanto immagine di Dio, de Vitoria formulò la piena dignità umana degli indios americani. Per il teologo non ci sono schiavi naturali in senso proprio, ma soltanto schiavi civili (per esempio prigionieri di guerra) e, sulla base di questo concetto, egli attribuì ai nativi del sud America il diritto alla vita, alla libertà fisica e alla libertà religiosa.
A riprova delle sue tesi, de Vitoria sostiene nelle Relectio de Indis: «Hanno nelle loro cose una certa organizzazione, dal momento che hanno città ben governate, hanno matrimoni ben definiti, magistrati, signori, leggi, arti e commercio: cose tutte che richiedono l'uso della ragione; hanno inoltre una forma di religione». Il fatto che sembrino così immaturi e senza senno «penso venga in massima parte dalla loro cattiva e barbara educazione: anche in mezzo a noi vediamo molte persone della campagna che differiscono di poco dagli animali privi di ragione».
Il teologo domenicano contesta pure quelli che considera i "titoli illegittimi" della conquista, in particolare, l'imperatore non è sovrano del mondo e l'autorità spirituale del papa non si estende ai non credenti e non lo rende un sovrano temporale.
Per de Vitoria l'Imperatore non è signore del mondo intero, perché sul piano del diritto naturale tutti gli uomini sono liberi, salvo per quanto attiene al "dominio paterno" (padre sui figli) e al "dominio maritale" (marito sulla moglie). Perciò «non c'è nessuno che per diritto naturale abbia il dominio del mondo intero». Questa tesi fu discussa dal teologo domenicano già nel De potestate civili, una relectio di qualche anno prima, in cui si argomentava che la sostanza del potere politico è di diritto divino, perché l'uomo è per natura un essere sociale; ma i modi di governo e la determinazione di chi debbano essere i governanti sono di diritto positivo: ogni collettività sceglie i propri capi. Così, occupando le province degli indios, l'imperatore diviene signore per giurisdizione e non per proprietà.
Molti, a partire da P. Antonio Montesinos, passando per P. Bartolomé de Las Casas e P. Francisco de Vitoria, hanno cercato di essere coscienza critica, per separare la colonizzazione dall'evangelizzazione. Attenti iniziatori ad una difesa positiva del rispetto e tutela della persona, dei suoi diritti naturali, dei bisogni umani, del riguardo dell’opera del Creatore.
Botticelli- La Calunnia - Re Mida con Ignoranza e Invidia |
Dal dato storico c’è da chiedersi se, in rapporto ai nostri tempi, in merito al concetto di schiavitù, si siano prodotti passi in avanti o se lo stesso concetto aristotelico di schiavitù naturale e civile trovi tuttora applicazioni analogiche pratiche. Nella rivendicazione dei diritti umani vi sono ancora esponenti capaci, con la loro voce di urlare l’ingiustizia dei soprusi soffusi?, soprattutto di ottenere dei risultai? Siamo consapevoli delle schiavitù nuove che nei diversi ambiti della società, velatamente si alimentano? Il benessere conquistato può essere d’attenzione ai nuovi bisogni umanitari che emergono e, soprattutto è capace di operare per questi in assoluta gratuità e rispetto umano?
L’incommensurabile mondo dell’umano, nella completezza del suo essere, pone continue questioni e pone costantemente all’attenzione le situazioni concrete per il conseguimento di un bene comune, sociale, politico, giuridico. Mantenere una coscienza critica e costruttiva non può che far aprire gli occhi sui reali bisogni umani che non richiederebbero carte scritte, documenti legislativi, piuttosto il buon senso del: ama il prossimo tuo come te stesso; non fare all’altro quello che non vorresti fosse fatto a te!
Che non rimanga pertanto, il buon senso, l’astrazione nel deserto di un’isola in cui sempre più gli stati moderni, le rispettive società e i singoli apparati “potenti” sembrano rinchiudersi a causa di interessi economici mistificatori, privi di scrupoli, origine del vuoto morale, della denigrazione del senso del sacro di cui è pienezza il concetto della dignità umana.
Che non si assista, impotenti, alla negazione dell’essenza dell’esistenza umana e permanga il sogno dell’Alterità che aiuta da cui non si deve temere altro che amorevolezza per una buona crescita e rispetto dell’opera del Creato, in interezza.
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