sabato 10 dicembre 2011

A colloquio con Tommaso d’Aquino: Società e Bene Comune, attualità della sua filosofia politica


In antitesi alle correnti sofistiche del mondo antico e all'individualismo radicale che sollecita il mondo contemporaneo, per i quali la società, politicità e giuridicità appartengono alla sfera della pura convenzione e dell'arbitrio, Tommaso d’Aquino rivendica il carattere naturale della vita associata. La dottrina politica dell’Aquinate si presenta, in rapporto ai due estremi dell'individualismo e del collettivismo, come una soluzione intermedia che consente di preservare, simultaneamente, i diritti fondamentali, la libertà della persona e le peculiarità autonome dello Stato e delle altre  strutture di potere.

Magistrale preziosità è l'attualità della riflessione filosofica, che si traduce nella nitidezza della sua comunicabilità, bellezza illuminata dalla fede, che ne esprime l’eloquenza.

Fr. Tommaso, interpreti con segno incisivo il noto principio aristotelico della naturale socialità e politicità dell'essere umano, potresti darci maggiori spiegazioni in merito?

Dire che l'uomo è naturaliter, animale sociale, civile, politico significa affermare che le forme essenziali della vita associata sono necessarie alla perfezione fisica, morale e spirituale della natura umana. L'uomo dipende dalla società per quanto concerne il raggiungimento dei suoi fini essenziali: questa è una verità universale che si estende tanto alla vita familiare sociale e politica, quanto alla vita morale e spirituale, nell'ambito della Chiesa.

Il pensiero moderno, dopo Cartesio, ha abbracciato le tesi del nominalismo più radicale e ha negato la dottrina tomistica della legge naturale etica sostituendola con un diritto di natura in cui gli istinti inferiori e le passioni hanno spesso il sopravvento sulla ragione. I diritti naturali scompaiono per lasciare il posto ai “diritti civili”: uscendo dallo stato di natura l’uomo perde il diritto alla propria autonomia. Come superare tale disposizione?

Il mio proponimento, come criterio di gerarchia atto a stabilire un ordine adeguato, si orienta verso l'ordine delle inclinazioni naturali (cfr. I-II q. 94 a. 2).
In primo luogo c'è il diritto alla vita, in quanto, come nota l'adagio scolastico, operari sequitur esse, senza esistenza di un essere concreto, non c'è nemmeno operazione. Il diritto alla vita comporta come diritti correlativi, inalienabili e irrinunciabili da parte della persona, il diritto all'autotutela contro i pericoli che minacciano la nostra vita fisica e il diritto a possedere, senza dipendere da altri, almeno i mezzi necessari alla nostra sussistenza.
La seconda tendenza della natura ci inclina alla procreazione e alla vita familiare, in quanto è necessità naturale perpetuare la specie (cfr. SCG III, 122-124). Sorge così, rigorosamente delimitato, un secondo ambito di autonomia sottratto a interferenze distruttive o regolatrici da parte del potere superiore, della legge dello Stato. La società coniugale, basata sull'unione fisico-morale-spirituale dei coniugi e dei figli, vanta diritti originari e naturali, la cui violazione da parte dello Stato comporta la violazione del bene comune.
Infine, la terza inclinazione naturale (cfr. I-II, q. 94 a. 2) conduce l'uomo a conseguire la piena perfezione della propria natura, nell'ordine dei beni morali e spirituali.

Affermando il primato dell'intelletto sulla volontà, definisci la legge come “ordinatio rationis” (cfr. I-II, q. 90, a. 4) e giudichi come iniquità il comando dal legislatore, basato su un mero atto di volontà contrario alla retta ragione, pertanto alla legge naturale (cfr. I-II q. 90 a. 1 ad 3 m.). Puoi aiutarci a capire meglio?

Da questa affermazione del primato della retta ragione sulla volontà discende la subordinazione della legge positiva alla legge naturale, eterna e divina: la volontà umana non può, né ha il diritto, di mutare con le leggi l'eterna disposizione delle cose. La legge contraria al diritto naturale è ingiusta e non ha alcuna efficacia (cfr. II-II q. 57 a. 2 ad 2 m; q. 60 a. 5 ad 1 m). 
Il vero sovrano, nella comunità politica, non è dunque un uomo e non è neppure la massa formata dalla somma di monadi egoistiche chiuse in sé stesse (cfr. I-II q. 105 a. 2). Il vero sovrano è la legge o, meglio, il fine per cui esiste la legge: il Bene Comune. Il principe terreno è un sovrano con poteri limitati: ed è sovrano in quanto rappresenta (vicem gerens) il popolo nel suo sforzo collettivo e organico per raggiungere il bene comune (cfr. I-II q. 90, a. 3). La relatività dell'ordine temporale impedisce il conferimento alle supreme autorità di un potere assoluto.

Vi è dunque una diversificazione nel governante?

Nel governante, bisogna distinguere una persona pubblica, o persona rappresentativa, come diranno i giuristi, il cui fine costante è il bene comune e i cui atti non possono ledere in alcun modo la legge, e una persona privata che, per la debolezza della natura umana, può errare e compiere atti ingiusti. Questa distinzione consente, nei casi più gravi e come extrema ratio, l'esercizio di un diritto di resistenza da parte del popolo e delle gerarchie sociali intermedie contro un principe che è divenuto tiranno. 
Il metro di giudizio per valutare se il diritto di resistenza viene esercitato in modo legittimo è sempre costituito dalla violazione grave, sistematica e prolungata dei diritti naturali fondamentali. Ciò  non legittima in nessun caso un diritto illimitato del popolo e dei singoli all'insurrezione. Il diritto di resistenza deve essere diretto alla riparazione del diritto leso e alla restaurazione del Bene Comune: non è mai lecita l'insurrezione per la difesa di beni meramente privati e per l'affermazione di diritti relativi.

La Tua concezione di ordine pubblico? 

E’ una concezione essenzialmente pluralistica: un pluralismo organico che consenta a tutte le componenti della società un ampio spazio di autonomia, basato sulla partecipazione del popolo temperata da elementi aristocratici. Significativo è anche il modello proposto per le deliberazioni collettive: la simultanea concorrenza del ruolo delle moltitudini, principio maggioritario, e del ruolo della senior pars, costituita dalle gerarchie superiori che hanno il dovere di imporre il rispetto della legge o, anche, semplicemente da chi si è mostrato intellettualmente e moralmente più idoneo a difendere il bene comune. Nell'ordine socio-giuridico della convivenza politica, il singolo gode dei diritti naturali intangibili da parte dello Stato; un esempio è la libertà di coscienza (cfr. II-II, q. 10 a. 8; a. 12).

La Società non costituisce una realtà sostanziale che gode di una propria forma autonoma di esistenza separata da quella degli individui che la compongono. La società, dal punto di vista metafisico, ha natura accidentale poiché risulta dalla relazione degli uomini che la costituiscono, i soli a essere dotati di una realtà sostanziale. Si può, pertanto, affermare che l'essenza della società consiste in quella specifica forma di relazione che è il rapporto fra gli uomini finalizzato al Bene Comune?

Escludo la possibilità di un completo assorbimento della persona nel tutto sociale: escludo che i diritti naturali e assoluti che spettano alle singole persone possano essere modificati ad libitum dal legislatore o da chiunque sia costituito in autorità. Ogni assolutismo del potere umano risulta così rigorosamente escluso, in quanto lesivo della giustizia che prescrive il riconoscimento costante di ciò che spetta all'altro, a titolo originale e irrevocabile, in quanto fondato sulla eterna disposizione divina e sulla legge naturale. 
La perfezione della natura umana richiede l'integrazione dell'individuo in una pluralità di ordini: famiglia, sociale, corporazioni locali e professionali, Stato, Chiesa, destinati alla protezione e  alla promozione dei singoli, attraverso il conseguimento del bene comune relativo a ciascuna forma di vita associata. 
Il fine della società non è soltanto il vivere ma è il vivere bene, il vivere conforme alla superiore dignità dell'uomo. Questi fini sono raggiunti attraverso la costituzione della famiglia e dalle comunità più vaste, fra cui spicca lo Stato, società perfetta che ha in sé tutti i mezzi morali e materiali necessari alla conservazione, difesa e sviluppo del singolo e delle società inferiori (I-II, q. 90 a. 3 ad 3m). 
Il bene comune della società è diverso dalla semplice somma dei beni particolari dei singoli. Esso si colloca su un piano superiore: l’esistenza della società, infatti, assicura l'esistenza di condizioni che consentono non solo la mera sopravvivenza ma anche la piena perfezione dello sviluppo delle qualità intellettuali e morali della persona umana. 
Il bene si identifica con la perfezione che è pienezza dell'essere (SCG III, 24). Ora, senza l'ausilio della società l'uomo non può compiutamente realizzare la sua umanità, non può conseguire cioè quella pienezza fisica morale e spirituale che è necessaria per raggiungere il suo fine ultimo. 
E' la presenza del bene comune che costituisce il vincolo profondo che lega le persone: la dissoluzione della società in monadi che operano egoisticamente per conseguire un vero o presunto bene privato dissolve l'unità organica della società e crea, in suo luogo, una dannosa dialettica che conduce ad accordi fittizi, basati sull'equilibrio compromissorio degli egoismi privati. Il bene privato non può essere fine della società, in quanto tale, in quanto cioè non subordinato al bene comune.



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