Conoscere qualcosa significa riconoscerne causa, frutto di discernimento in grado di non scendere a compromessi. Senza verità, ci ricorda Tommaso d’Aquino, anche il diritto diventa privo di giustizia e di moralità; anche la verità è, infatti, legge di giustizia. (S.Th., I, q.21, a.2). Ne consegue che rifiutare di aderire alla menzogna manifesta, costituisce fulcro di liberazione, di emancipazione sociale da affrancamenti votati a prevaricazione, disonestà e inculturazione.
Ecco che, quando l’ingiustizia cerca di mascherarsi di norma, la resistenza diventa un dovere morale, poiché, con Giovanni Falcone, "Quando capiranno di non poterti né superare e né uguagliare, cominceranno a sporcarti".
Sembra un paradosso, ma provocare ingiustizia sociale, e con malversazione, è arbitrio favorito da sistemi invertiti, a determinazione di un errante, quanto delirante libero arbitrio. Tommaso d’Aquino insegna che compito primo della giustizia è ordinare l’uomo nei rapporti verso gli altri, e definisce la virtù della giustizia: “Abito per cui l’uomo è inclinato a dare a ciascuno il suo”. (S. Th. II-II, q.58, a.1). Ma cosa significa «dare a ciascuno il suo», qual'è la proporzione? Quando si cade nell'illegalità?!
Dare a ciascuno il suo significa, innanzitutto, non danneggiare gli altri. È un criterio semplice, di reciprocità, principio etico e giuridico fondamentale, che si basa sull’idea che ogni individuo ha il diritto di godere dei propri diritti, senza però interferire con quelli degli altri. Tale concetto viene spesso utilizzato nella filosofia del diritto e nella teoria della giustizia, in quanto rappresenta uno dei principi fondamentali su cui si basano le leggi e le norme sociali. Ogni persona ha il diritto di godere dei propri diritti, a patto che questi diritti non vengano violati, compromessi, impediti. La giustizia è, dunque, anzitutto virtus ad alterum, la sua materia concerne le relazioni. Ma per vivere correttamente le relazioni con gli altri è necessario essere giusti, in altre parole, essere persone rette, oneste intellettualmente, che sanno dare il corretto e legittimo spazio alle differenti facoltà con elementi di ragionevolezza. Diversamente si cade nell'illegalità. Va da sé che compiere ingiustizia è l’azione più imbarazzante e contraria alla retta ragione (S. Th. II-II, q. 55, a. 8). L'Aquinate, inoltre, inserisce negli atti contro la giustizia l’uso scorretto della parola, come l’insulto, la maldicenza, da attribuirsi anche a chi vi collabora, la mormorazione, la derisione, la menzogna e l’ipocrisia.
Ma che cos’è la libertà? Certamente non è un lasciar fare al nostro istinto, Caterina da Siena parla del ‘se sarete quello che dovete essere’, identificando il dover essere nelle virtù cardinali, precipue qualità morali dell’essere umano, e non dell’istinto, che è proprio delle bestie. Libertà non è, dunque, fare ciò che ci pare e piace, ledendo altrui diritti, non è comandare nelle vite degli altri, tanto meno nelle cose afferenti la dignità delle persone; libertà non è agire senza senso, arbitrariamente, vilmente. La libertà implica conoscenza, rispetto e, necessariamente, determinazione al bene comune. Quando il libero arbitrio mal agisce nei confini degli orizzonti umani, cercando di adombrarne irragionevolmente percorsi, è viziato, fuorviante, corrotto. La libertà autentica richiede una più ampia visione, che consiste nell’aprirsi a ciò che ci trascende.
Va da sé, dunque, che agli animali Dio ha dato l’istinto, agli esseri umani la libertà. Tale libertà è continuamente minacciata da manovre convulse atte a cogliere frutti proibiti, azioni disdicevoli, che appaiono buoni e desiderabili. Assecondare e assumere un atteggiamento ricettivo, affascinati dalla seduzione menzognera di vili manipolatori, induce a cogliere ciò che sembra d’un tratto irrinunciabile. Salvo poi, -gli indotti-, svegliarsi dal torpore, aprire gli occhi, destarsi e, per nascondere la propria ridicola nudità, ricorrere alle foglie di fico nel tentativo di dissimulare l’ignoranza invasiva, e nascondersi per la vergogna agita. È dipinto già visto nel percorso della storia dell’umanità, ma che, puntuale, si ripete poiché sottende quel limite di immaturità, relativismo, che trattiene prigionieri di vizi capitali, incapaci di liberarsi alle virtù!
La cultura della legalità è emblema di civiltà che, nella conoscenza, rende autenticamente giusti e liberi. L’autonomia intellettuale della persona, reale libertà, equilibrio interiore che sa essere timone di discernimento ha, infatti, come premessa, lo stupore di fronte alla meraviglia del sublime, per ogni comprensione di giustizia poiché la morale è sempre superiore, anche alla legge. E, con Dante, libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta.
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