martedì 18 ottobre 2011

La crisi internazionale è spunto per rivedere il ruolo della Comunicazione



La domanda di sempre: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, trova la sua naturale maturazione nel quotidiano vivere. Non sono solo domande esistenziali ma punti di partenza congrui per il bene stare personale e collettivo. La Comunicazione ha assunto un ruolo rilevante e la crisi internazionale è spunto per rimotivarsi, un’opportunità per scorgere quella Comunicazione che, senza trascurare le relazioni, rimane vigile con il proprio interlocutore, ancor di più in ambito socio-politico.

Occasione di un ripensamento del ruolo della Comunicazione e del Comunicatore è preso in esame da Pierre Zémor, personalità autorevole della Comunicazione francese, consigliere di Stato di Francia, presidente della Federazione Europea delle Associazioni di Comunicazione Pubblica, che analizza la situazione in Francia esprimendo criteri di giudizio validi anche per gli altri paesi, compreso il nostro. Un articolo provocatorio il suo, ma anche pieno di stimolo circa il ripensamento del ruolo della professione.

Non è del tutto fuori luogo, come anche nel modo di vedere di Zémor, l’impoverimento della Comunicazione dalla facilità delle nuove tecnologie e dalla crisi della committenza. Egli evidenzia il discredito in cui è caduta: “La comunicazione così come viene intesa da pubblicitari e giornalisti è ormai caduta in discredito, soprattutto per colpa della politica. Durante gli anni del grande sviluppo economico aveva acquisito titoli di nobiltà e conservato un volto rispettabile. [...] Il marketing, i collaudati strumenti della pubblicità e della gestione dell’immagine, il culto della marca sono stati molto utili per le imprese”. Come anche la mania di protagonismo onnisciente che l’ha pervasa: “Forte di questi successi la comunicazione ha avuto la tentazione egemonica di dettare le modalità di espressione alle Istituzioni pubbliche, ai media e alla politica [...] Prosegue: “Il paradigma della concorrenza che ha guidato finora la comunicazione ha prodotto molti effetti perversi. L’urgenza dell’evento prevale sulla riflessione a lungo termine. Si trascura l’investimento, puntando più sulla vetrina che sul laboratorio, assistendo al paradosso di una comunicazione che nega il valore del tempo! Trascura la relazione e dimentica l’interlocutore”.

Ecco però lo spunto: “Nei periodi di crisi, il semplicismo e gli abusi della ‘com’ sono intollerabili. Oggi la comunicazione è chiamata a render conto del suo ruolo, dell’utilità dei suoi costi, dei suoi atteggiamenti collettivi, educativi, creativi, interattivi. Si apre così il regno delle reti. L’interattività e la possibilità data a ciascuno di far sentire la propria voce, consentono di opporsi al non-senso tipico di una comunicazione univoca, verticale e compiacente”. Si evidenzia, quindi, la necessità del dialogo: “La comunicazione pubblica deve essere anche discussione, consultazione, concertazione e dibattito. Il dibattito, che prevede il contradditorio, è il modo migliore per riuscire a definire – umanamente – delle verità, trovando, oltre le passioni, dei compromessi sociali attraverso la razionalità di un linguaggio comune. [...] La politica, se comunica con i cittadini utilizzando le modalità dell’enfasi, dell’imposizione o della mistificazione, perde ogni credibilità. La comunicazione ridotta a promozione pubblicitaria si basa sull’ipotesi che i suoi rappresentanti e governanti sappiano sempre agire in modo efficace, come una sorta di Superman. Il modello che si traduce nello slogan “lavoriamo per voi”, però, non ispira più fiducia, anzi è diventato ansiogeno”.

L’intuizione s’immette nella domanda più naturale: “È ancora necessario riscoprire il compito prioritario di una vera comunicazione che consiste nello stabilire la relazione senza la quale non può passare nessun messaggio? Comunicare, e quindi relazionare, con fiducia significa prevenire, significa informare, fare partecipare e, nel contempo, fornire certezze, far condividere valori e obiettivi, adoperarsi con chiarezza ad eliminare ogni dubbio, associando i cittadini interessati alla ricerca dell’informazione. Governare non significa inseguire i sondaggi, ma riconoscere che l’offerta politica non è un prodotto finito che si può presentare su un catalogo ai cittadini come se fossero dei consumatori. Considerare il cittadino solo un ricettore passivo della comunicazione significa mentirgli sulla natura dell’offerta politica e sulle competenze dei poteri pubblici”. Quasi certamente, prosegue, “il mondo politico è quello che meno comprende il ruolo della comunicazione, la intende piuttosto come strumento di detenzione del potere, oltre che conquista dello stesso, mentre l’azione pubblica richiede la Comunicazione”.

Coinvolgere meglio i cittadini nelle scelte e nelle decisioni, renderli parti vive, piuttosto che passivi ricettori delle relazioni politico-sociali, da cui non sono estranei, alimenta la trasparenza della Comunicazione capace di fidelizzare alla conoscenza, all’interazione, padrone del suo tempo e della narrazione degli eventi che oggi scivolano via dalle reti web senza freni.

Proprio dai momenti di maggior difficoltà, crisi economiche, morali, sociali, si può portare fuori l’elemento di maggior verità che sussiste ed è capace di saper resistere a tutte le intemperie: il valore umano che interagisce con il valore umano comunicandosi.

Si può rinvenire nella ‘filosofica comunicativa del contadino’, una panacea per una risalita congrua, in grado di riprendere i ruoli di competenza comunicativa esemplare: un temporale, una forte nevicata, una bufera di vento, il fuoco, possono determinare, in un attimo, la distruzione del lavoro di un intero anno, prodotto con fatica e sacrificio, un solo attimo di tempesta è capace di mettere in ginocchio il raccolto di sussistenza e produzione. L’impresa svanisce e non per demerito ma perché eventi più o meno accidentali ne hanno determinato la catastrofe. È la crisi? Per ogni altro professionista, imprenditore, forse sì, per la ‘filosofica comunicativa del contadino’ no! L’animo tenace fa sì che dalla crisi tragga profitto necessario per ripensare e ricominciare. Eppure si affida all’apparente più precario dei ripari, il tempo e il Cielo sotto cui vive. Si affida consapevole alla risorsa delle risorse, consapevole che non abbandona, fidelizza il suo operato che gli dà il senso della sua narrazione umana e della dimensione del nostro essere. Vigoria nasce e rinasce dalla ‘filosofica comunicativa del contadino’. C’è sempre da apprendere dalla complessità della vita, nei diversi suoi ambiti, ancor più nell’attuale dimensione multimediale, le soluzioni però sono sempre nelle realtà più semplici che rimangono d’esempio lungimirante, oltre ogni orizzonte.

[Foto: Pierre Zemor]

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