sabato 20 dicembre 2014

La “via amoris”: una politica capace di svegliare la coscienza

Si svelano più che mai significative e attuali le parole di S. Caterina da Siena: «Assai triste è colui che, potendo avere fuoco finisce, per propria scelta, di morire di freddo, come chi avendo cibo si lascia morire di fame, innanzi una tavola imbandita». È essenziale riscoprire la “via amoris”, quella dinamicità che il cuore di coloro che non si sentono rappresentati dai serbatoi offerti dalla politica attuale, compresa me, non riesce a trovare, una dinamicità di speranza capace di donare costruttivamente e fattivamente la visione di un progetto paese credibile. Incrociare la suggestiva ‘via amoris’ per superare le disattese di una politica assai screditata.
La credibilità nella politica è l’alternativa capace di riportare l’altra metà dell’Italia non votante a votare, la credibilità data dalla linearità testimoniale, integrità di persone che siano sanamente affidabili, lealmente collaborative, propositive di progetti, che non si delimitino nei territori, o a giocare al pallottoliere per sommare punti, piuttosto che non abbiano timori nell'andare controcorrente. 

Lo credo con sempre più determinazione: occorre mutare gli abiti mentali del fare politica. È il popolo che deve avere titolarità nel proprio stato ed è nel popolo che deve fruttificare l’operato del fare politico, non negli accordi o cordate d’intesa per favorire o permanere nella gestione del potere da parte di inutili idioti, parafrasando Papa Francesco. È fin troppo evidente questa verità nella società, è fin troppo distante la politica da coloro cui chiede di essere legittimata. 

Occorre davvero una politica capace di svegliare la coscienza di se stessa e ridonare fiducia, è fondamentale una Parusia, di Platonico intendimento, ovverosia: presenza nel mondo sensibile dell'essenza ideale, cioè il sano essere portatori di valori umani. Qual è l’ambizione se non giungere a un sistema capace di dare attenzione e servizi, che abbia consapevolezza del territorio, che sia in grado di applicare un’equa distribuzione dei beni, secondo talenti e competenze, mettendo al centro la Persona e la sua edificazione umana, valorizzando il valore e il merito, superando la mediocrità e l’arroganza che imperversa. Cultura, da còlere, significa coltivare, e coltivare è il dato massimo della sensibilità. Cultura è sensibilità prima di ogni cosa, sensibilità! Mi chiedo e vi chiedo: vi sembra che si viva in una realtà sociale sensibile? 

Quasi si assiste ad un’apoteosi dell’egoismo con tangibili politiche volte soprattutto ad accentuare le differenze di classi sociali cui si è ampiamente provveduto a determinarne esistenza. Ai dormienti, o se volete agli acari, mascherati da benpensanti, non ho timore di dire che siamo nati per vegliare e non per sopportare, tanto meno per armarci di strofinacci e fare pulizia, ma se è anche per questo che dobbiamo animarci allora facciamo pulizia, fuori da clientele e consociativismi poco lungimiranti che nulla hanno da dire e dare alla società civile che ha bisogno di un fare politico staccato dai vecchi sistemi che snaturano la natura stessa del bene comune, soprattutto lontano dai vecchi giochi dei soggetti detentori della verità assoluta del fare politico, il mio è migliore del tuo fare, il credito si guadagna sul campo dei bisogni umani, lealmente e con maturità. Diceva La Pira: la casa è un dovere, il pane è un dovere, e questo non è marxismo ma Vangelo! 

Il mio cuore passionale, del tutto appartenente alla ‘bella brigata’ cateriniana, non riesce a non essere se stesso, non si può essere indifferenti, ti deve toccare la vita dell’umano, il risentire è dell’umano, come voce della coscienza che non puoi far tacere, era una parola che spesso usava mio padre, risentire, non ti puoi chiamare fuori e far finta di niente, con grazia e delicatezza ci devi essere, scientemente e con carità intellettuale, soprattutto di fronte l’afflizione dei bisogni ci devi essere, e magari entrarci dentro, come avrebbe fatto Caterina da Siena, che non esitò di donare a un mendico, non avendo altro da offrirgli sull'istante, il proprio mantello; eppure sapeva che, in Siena, solo le donne di malavita potevano percorrere le vie della città senza mantello. E alle rimostranze degli amici, che glielo riscattano, risponde: «Preferisco essere senza mantello che senza carità». 

Devo essere alternativo all'improduttività devo essere produttivo per la società, alimentando un cenacolo di idee capaci di attrarre e rispondere alle attese disattese, diversamente preferisco mantenere la mia natura di anacoreta se nei cenobiti si continua a non guardare con determinazione avanti e a non alimentare un senso sano di fiducia. Siamo chiamati a colmare le assenze che hanno determinato vuoti vorticosi nella società civile: il vuoto della crescita culturale, morale, spirituale: la centralità della persona, la cura del creato, la solidarietà, sono antinomie etiche prima che tecniche, e la loro soluzione deve fondarsi su di una trasformazione etica, sulla disposizione di mutare abiti mentali, sulla consapevolezza che cultura è sensibilità. 

Dice Tommaso d’Aquino: come illuminare è più che risplendere, così donare ciò che si è contemplato è più che solo contemplare. E, poiché non c’è niente di peggio che l’abbandono alla povertà intellettuale, proviamo a tornare luce, a illuminare politicamente l’opera uomo, nel creato: donando un corpo all'anima, la costruzione di una nuova casa in cui far convogliare supporti e apporti, l’insieme vive e si esprime proprio perché è fatto di diversità e di unità. L’insieme Vive, l’anima è chiamata a vivere, ad ardere come fuoco, e a comunicarsi nel corpo, singolarmente con le sue peculiarità, collettivamente rendendosi unità che persegue lo stesso obiettivo: il bene comune! È profondo il senso di comunione che l’unità del ‘corpo politico’ esprime, non perdiamone il timone, ma aspiriamo ad una reale nuova aurora della politica. Altro non dico! 


[Foto: Luca Giordano, Allegoria della Fortezza] 

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