domenica 24 maggio 2015

L’unicità dell’uomo è la sua incomunicabilità


Nella sua natura di anelante ricerca, la persona, “uomo problematico” come lo definisce Gabriel Marcel, è in grado di abbracciare, con il domandare, il suo stesso essere, fin nelle radici più profonde. L’inquietudine costruttiva che alberga la persona, gli consente di scoprirsi bisognosa di dialogare con l’altro, natura che intimamente si articola come in un discorrere continuo per conoscere e conoscersi. L’essere in sé della persona corrisponde alla sua incomunicabile soggettività, vale a dire: si appartiene e si gestisce come sorgente delle proprie scelte e dei propri atti.

Ma cosa significa incomunicabilità? 
Affascina questo termine apparentemente in contraddizione con la natura - relazione di alterità - dell’uomo. Cerchiamo, dunque, di comprenderne meglio il senso. 

L’incomunicabilità nella filosofia di Tommaso d’Aquino è intesa come unicità dell’uomo, creato da Dio, persona completa in se stessa che si distingue da tutto il resto: «De ratione personae est quod sit incommunicabilis». (S. Th.,1. q 30, a.4, ob. 2). Nella consistenza ontologica di questa unicità si fonda il valore irripetibile di ogni persona: la “sussistenza” dell’essere personale è la ragione profonda della resistenza a ogni spersonalizzazione, è il motivo del rifiuto di ogni oggettivazione che risolva la persona in pura esteriorità. Scrive Emmanuel Mounier: “La persona non è un oggetto: essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come un oggetto […] Essa è l’unica realtà che ci sia dato di conoscere e, in pari tempo, di costruire dall’interno [...]  La persona è un’attività vissuta come autocreazione, comunicazione e adesione, che si coglie e si conosce nel suo atto, come movimento di personalizzazione”. (Il personalismo, Roma, 1964).

L’idea tomista di sussistenza dell’essere personale, cui si associano quelle di incomunicabilità, di assoluta originalità e non partecipabilità, dovute all'unicità ontologica, è il baluardo teoretico contro ogni possibile manipolazione della persona, la sorgente profonda e nascosta di ogni sua irradiazione e di ogni riconoscimento della sua dignità. Ecco perché l’esse in se personale equivale a singolarità originale, a sovrabbondanza di un essere che, possedendosi nell'autocoscienza e nella libertà, può aprirsi e donarsi ad altri, e accogliere altri in sé.

L’essere per sé della persona, lungi dal chiudersi nel ripiegamento su di sé, fonda nel modo più rigoroso l’eticità, e quindi la responsabilità verso se stessi e verso gli altri: riconoscendo il valore assoluto della dignità personale nel soggetto, conduce a riconoscerlo anche nella persona di ogni altro, raggiungendo l’interiorità personale con la luminosità della sua esteriorità.

La comunicazione non è dunque il puro uscire da sé della persona, lo svuotarsi senza residui nell'altro, che si risolverebbe in dipendenza e alienazione; né è il puro accogliere l’altro in sé, facendone oggetto del proprio conoscere e del proprio volere. È, piuttosto, il rapporto fluido per cui uscendo da sé la persona si ritrova nell'altro e accogliendo l’altro in sé ne è arricchita, proprio in quanto lo rispetta nella sua alterità. “Non si diventa ‘uomini completi’ da soli, ma unicamente assieme ad altri”. (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, Milano, 1988).

L’essere umano, dunque, è unicità irripetibile, dignità infinita che, tuttavia, si esprime e si compie pienamente soltanto nella comunione e nella storicizzazione etica, sociale e politica di essa, è esistenza solidale con gli altri che sfocia nell’esse cum, principio di solidarietà.

[Foto: Eustache Le Sueur - Le muse – Clio, Euterpe, Talia]

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