sabato 23 giugno 2012

La comunicativa sociale della carità


Si legge nella Caritas in Veritate: L’amore - «caritas» - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. [...] Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, «si compiace della verità» (1 Cor 13,6)”.


Da sempre l’umano sentire, che ha contraddistinto dalla nascita il cristianesimo, si è messo al servizio delle persone bisognose nello spirito e nell’intelletto, facendo emerge la bellezza del carattere sociale che lo caratterizza. Possiamo richiamare alla memoria come, nella storia della Chiesa, le prime comunità si danno come compito quello di soccorrere gli orfani, le vedove; i monaci medievali offrire ospitalità a pellegrini nelle loro badie; le confraternite laicali realizzare ospedali e monti di pietà per assistere i più indigenti; le congregazioni di insegnanti, all’inizio dell’era moderna, creano scuole per lottare l’analfabetismo delle masse. 

Ancora leggiamo dalla Caritas in Veritate: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l'insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici”. 

Si assiste, pertanto, alla nascita di una serie di organizzazioni caritative, sorte per aiutare i ‘nuovi poveri’ della società, alleviandone sofferenze nelle malattie, assicurando condizioni minime di sopravvivenza e sussistenza, istruendoli nei fondamenti dell’apprendimento e formazione. Tutto ciò per compensare le ingiustizie dei modelli economici dei paesi ‘civili’ sviluppati, che manifestano pienamente la cinica noncuranza della sofferenza umana a vantaggio di una società del benessere egoista e spregiudicata. 

Tuttavia, che non si perda l’ispirato buon senso, soprattutto non si finisca per far passare per carità quello che è doveroso per giustizia. Una carità offuscata da solidarietà che, di fatto, è sprezzante utilitarismo o, al più, assistenzialismo riparatore, cerca di darsi una buona coscienza soccorrendo con opere di carità le vittime del sistema ingiusto, gli ultimi della società del benessere, persone considerate ‘inutili’. Tuttora manca il rispetto primo dovuto a ognuno: la dignità umana non richiede carità, piuttosto attenzione e azione.

La società, l’economia, il lavoro, sostiene Benedetto XVI, non rappresentano ambiti unicamente secolari, tanto meno estranei al messaggio cristiano, ma spazi da fecondare con la ricchezza spirituale del Vangelo. La Chiesa, infatti, non è mai indifferente alla qualità della vita delle persone, alle loro condizioni lavorative, e avverte la necessità di prendersi cura dell’uomo e dei contesti in cui egli vive e produce, affinché siano sempre più luoghi autenticamente umani e umanizzanti”. 

Una buona comunicazione capace di progettare, con coerente filosofia di pensiero, una meta comunicativa di persistente impegno solidale, sviluppando la base delle risorse territoriali, sia umane sia economiche, testimonia autenticità del rispetto umano, che non ha, così, percezione di esserne prevaricato, tantomeno debitore, piuttosto autore, nel proprio merito, capace di provvedere al proprio benessere. Il dono primo del nostro vivere è nell’essere liberi non schiavi, ‘levatevi dal timore servile’ scriveva Caterina da Siena (L. 247), non soggetti, quindi, a coercizione psicologica subdola, senza scrupoli messa in pratica da tutti coloro che praticano il ‘solidale sociale’ con cinica rendicontazione.

Il rispetto della persona non è solamente un portato del Vangelo, ma anche un portato della virtù cardinale, della Giustizia. Come modalità di relazione intersoggettiva, il diritto si struttura come specifica risposta alle esigenze, ontologicamente oggettivabili, della coesistenza; il diritto, laico nel suo principio, riconosce le spettanze dell’uomo in virtù della sua dignità di essere umano. Fondamentale a questo riguardo è l’opzione per la libertà che caratterizza lo spirito laico: opzione che chiede l’appoggio essenziale del diritto, poiché non esiste esperienza reale di libertà che non debba essere mediata attraverso la giuridicità. Non vi può essere, così, vera carità senza giustizia, la vera carità presuppone la giustizia, perché la prima carità, la prima prova d’amore verso il prossimo è proprio quella di usargli giustizia, altrimenti sarebbe un’ipocrisia, una mistificazione dell’ingiustizia. Né vi può essere vera giustizia senza carità, la vera giustizia presuppone la carità, in quanto la giustizia è, a suo modo, una forma di amore, orientata com’è al servizio dell’uomo, ed è l’amore che spinge a una conoscenza sempre più adeguata e profonda dei diritti del prossimo*. 

La comunicativa sociale della caritas, che è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace, diviene perciò elemento considerevole, aggregante, poiché espressione di una comunicazione responsabile, attraverso cui l’impegno etico al sociale aderisce, consolidandosi in dignitosa operosità produttiva.     
   


[Foto: Andrea del Sarto, Carità]  

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