giovedì 27 agosto 2015

Eucarestia e crisi del matrimonio



Recensione del libro di S. Em.za il cardinale Ennio Antonelli: Crisi del Matrimonio & Eucarestia, Edizioni Ares, Milano 2015, divulgata in due parti su Zenit.org, di seguito riproposta integralmente.

“Ritengo che questo scritto riesca a coniugare e ribadire la preziosa dignità del matrimonio cristiano, come è stato vissuto nella Chiesa cattolica, con la comprensione delle situazioni concrete e complesse che condizionano la responsabilità soggettiva dei coniugi. Quello che emerge è che il tesoro di dignità e di grazia che è stato consegnato alla Chiesa chiede di essere rafforzato e illustrato anche a beneficio di chi si trova in situazioni critiche o di fragilità: è aumentando la luce che si generano il rinnovamento e la forza per percorrere il cammino” (p. 6). Queste parole tratte dalla Prefazione del card. Sgreccia all'agile e denso testo del Card. Antonelli sulla crisi del matrimonio ovvero del matrimonio in crisi ed il sacramento dell’Eucarestia, ne sintetizzano in modo chiaro e puntuale il valore del suo contenuto e soprattutto la sua utilità al fine di affrontare le varie problematiche della e sulla famiglia cristiana oggi, soprattutto in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi.

Quello che ci sembra importante notare subito è che il testo è frutto della solida formazione e della lunga esperienza di pastore dell’Autore. Proprio per questo egli è riuscito con il presente testo a dare un contributo sintetico ed autorevole ai problemi della crisi del matrimonio, della “famiglia tradizionale” ed alla questione dell’eventuale ammissione delle coppie dei divorziati risposati all’Eucarestia. Dopo una breve premessa, nella quale si spiegano soprattutto i motivi, il senso ed il fine del suo scritto, l’Autore affronta le varie tematiche in otto concisi capitoletti. 

È prima di tutto importante notare la sua ferma convinzione che oggi la principale urgenza pastorale è la formazione di famiglie cristiane che siano testimoni e modello nella società contemporanea, capaci di manifestare nella realtà della vita quotidiana che il matrimonio cristiano non è un’utopia, ma una possibilità concreta bella e possibile da realizzare. Di fatto, sono esse, più di qualunque altri, “… che possono annunciare il vangelo della famiglia, ‘non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia’ (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 14)” (p. 12). In concreto, dato il contesto culturale postcristiano, la pastorale dovrà concentrarsi in modo tutto particolare nell’educazione teorica e pratica dei ragazzi e dei giovani all’amore cristiano, inteso come dono di sé, comunione e rispetto dell’altro; nella seria preparazione dei fidanzati al matrimonio, mediante itinerari commisurati alle diverse situazioni spirituali, culturali, sociali affinché esso sia non solo valido, ma anche fruttuoso; l’accompagnamento degli sposi, in modo particolare nei primi anni di matrimonio, attraverso incontri periodici condotti da coppie di sposi ed esperti. In ogni caso ciò che deve essere alla base di questo impegno e lo deve ispirare, è il punto fermo e non negoziabile dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, rato e consumato, che si fonda sull’amore oblativo dei coniugi promesso per la vita ed aperto alla vita. Alla luce di questo punto fermo, l’Autore partendo dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, dimostra il non senso e l’intrinseca contraddittorietà della sola ipotesi di poter ammettere i divorziati risposati all’Eucarestia fin tanto che dura detta unione; quanto sopra, nota giustamente l’Autore, vale anche per altre situazioni analoghe di oggettivo disordine morale. “Questa esclusione non discrimina i divorziati risposati rispetto al altre situazioni di grave disordine oggettivo e di scandalo pubblico. Chi ha l’abitudine di bestemmiare deve impegnarsi seriamente a correggersi; chi ha commesso un furto deve restituire; chi ha danneggiato il prossimo materialmente o moralmente, deve riparare. Senza impegno concreto di conversione, non ci sono assoluzione sacramentale e ammissione all’Eucarestia. Non devono essere ammessi tutti coloro che ‘perseverano con ostinazione in un peccato grave manifesto’ (CIC, 915). Non ha quindi senso pensare a fare un’eccezione per i divorziati risposati che non si impegnano a cambiare forma di vita o separandosi o rinunciando ai rapporti sessuali.

Esclusione dalla comunione eucaristica non significa esclusione dalla Chiesa, ma solo comunione incompleta” (pp. 1516) che richiede una vicinanza attenta e misericordiosa da parte della Chiesa. Non dimenticando al riguardo che pur non essendo possibile, per i motivi visti, l’ammissione ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia, questo non esclude l’accesso alla misericordia di Dio per altre vie e che in ogni caso la grazia di Dio non è legata ai sacramenti (cf Familiaris consortio, 84; Reconciliatio et poenitentia, 34; “Sciendum tamen quod, sicut Deus virtutem suam non alligavit sacramentis quin possit sine sacramentis effectum sacramentorum conferre …”: S. Th. III, 64, 7 c). L’Autore prende quindi in esame in particolare i nn. 25, 41 e 52 della Relatio Synodi 2014, che trattano dell’approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziate e risposate ovvero conviventi, e spiega ancora più dettagliatamente, sempre alla luce della Scrittura e del Magistero, il non senso di una loro ammissione ai sacramenti, anche solo in determinate circostanze e situazioni. In particolare, riguardo alle unioni illegittime scrive, alla luce del principio, purtroppo spesso dimenticato da più di qualcuno, bonum ex integra causa malum ex quocumque defectu, “Certamente anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (per esempio, l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli), perché il male è sempre mescolato al bene e non esiste mai allo stato puro.

Tuttavia bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini. […] La legge della gradualità riguarda solo la responsabilità soggettiva delle persone e non deve essere trasformata in gradualità della legge, presentando il male come bene imperfetto. Tra vero e falso, tra bene e male non c’è gradualità. Mentre si astiene dal giudicare le coscienze che solo Dio vede, e accompagna con rispetto e pazienza i passi verso il bene possibile, la Chiesa non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male, mostrando che tutti i comandamenti della legge divina sono esigenze dell’amore autentico …” (pp. 3132 e cf anche pp. 4244 dove riprende e spiega più analiticamente la differenza tra “legge della gradualità” e “gradualità della legge”). Questo si applica, ovviamente, anche alle unioni omosessuali. Non è quindi pensabile un perdono da parte di Dio senza conversione e questo vale per tutte le possibili situazioni prese in esame, ma in modo particolare nei casi di matrimoni naufragati anche per la colpa di uno solo dei coniugi, che mai potrà giustificare un nuovo matrimonio, data la validità del precedente (cf p. 34). Non dimentichiamo che al riguardo abbiamo delle definizioni chiare del Concilio di Trento che non possono essere messe in discussione se non minando l’attendibilità dello stesso istituto conciliare e del Magistero (cf Concil. Trident., sess. XXIV, c. 5.; Concil. Trident., sess. XXIV, c. 7; Pio XI, Casti connubii). In questa prospettiva prende in esame e critica la prassi in uso presso le Chiese Ortodosse di concedere l’autorizzazione per un nuovo matrimonio dopo aver sciolto il precedente (cf pp. 3536; 51).

Quindi l’Autore affronta il tema dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, rato e consumato, sul quale neppure la Chiesa ha alcun potere e che costituisce un caposaldo della pastorale chiamata ad evitare immobilismo, cambiamento, ma allo stesso tempo impegnata sempre di più in una fedeltà creativa (cf pp. 4554). Successivamente prende in esame il significato ed il valore dell’amore, dell’indissolubilità e della validità del matrimonio sacramentale. In questo contesto accenna, e purtroppo non sviluppa, il ruolo della fede per la validità del sacramento del matrimonio, tema toccato anche durante la III Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (cf Relatio Synodi, 48).

A nostro sommesso avviso, questo aspetto è l’unico che l’Autore doveva forse sviluppare vista la confusione di cui è al presente oggetto. Infatti, pensare a ritenere la fede criterio per stabilire la validità di un matrimonio sacramentale, ci sembra che vada contro la realtà oggettiva ed in modo particolare andrebbe a creare più problemi di quelli che intende risolvere. Per queste ragioni ci sembra opportuno dire qui qualcosa al riguardo. In particolare, all'introduzione di una specifica
forma ad validitatem inerente alla volontà di sposare nel Signore (e dunque una forma liturgica attinente alla fede personale dei nubendi), risulta assolutamente pregiudiziale la soluzione del problema dottrinale se la fede sia obiettivamente ad substantiam del sacramento del matrimonio, ove non intendiamo solo un problema di validitas giuridica, ma di vera e propria sostanza sacramentale, sulla quale, però, la Chiesa non ha alcun potere. Infatti, l’introduzione di ulteriori requisiti giuridici ad valditatem porterebbe quale indubbia conseguenza l’aumento esponenziale dei matrimoni obiettivamente nulli, ed esporrebbe conseguentemente all'ulteriore problema pastorale di far vivere molte coppie nel peccato. Aumenterebbero esponenzialmente anche i casi di matrimoni dall'incerta validità, col conseguente dovere, per la Chiesa, di dire a due coniugi ancora di più in presenza di crisi matrimoniale se essi siano effettivamente sposati o meno nel Signore. Ove, infine, gli sposi non intendessero invece simulare, in assenza di fede, la nuova ed imposta formula, e dunque preferissero anzi non sposare coram Ecclesia, si restringerebbe il loro ius connubii, negando ai battezzati, per il solo fatto che essi non hanno una fede matura, un istituto di diritto naturale, dalla Chiesa eppure pienamente riconosciuto anche ai non battezzati nella forma del matrimonio legittimo.

In ogni caso, il presente testo del card. Antonelli rimane un testo chiaro ed utile per tutti coloro che, come ci ricorda l’Apostolo Pietro, vogliono essere sempre pronti “…a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto“ (1 Pt 3, 15). Soprattutto in questo spazio di tempo che ci separa dalla celebrazione della prossima XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, chiamata a presentare la “fisiologia” della famiglia e dopo la precedente III Assemblea Generale Straordinaria che ne aveva trattato, se così si può dire, le “patologie”, è necessario e doveroso conoscere ciò che costituisce il cuore dell’annuncio evangelico sulla famiglia. Prendere coscienza del progetto di Dio che sicuramente potrà oggi apparire quasi un’utopia, ma che alla fine si riconosce e si scopre essere il desiderio più sincero, anche se forse nascosto e confuso, di ogni uomo e di ogni donna. L’A. contribuisce a superare l’idea infondata, ma purtroppo molto diffusa, di una Chiesa che respinge alcuni suoi figli, di una Chiesa che emargina in modo ipocrita e privo di misericordia, ed aiuta a capire che quanto Dio chiede è per il nostro vero bene e che il vero amore non dispensa mai dal sacrificio e dal perdono. Questa è stata la profonda ed intima convinzione dei cristiani dei primi secoli (cf p. 60).

Il nostro augurio è che questa sintesi del Card. Antonelli aiuti tutti a riscoprire la ricchezza del messaggio cristiano sulla famiglia e soprattutto costituisca un valido strumento per evitare quella confusione nella quale purtroppo ha fatto cadere quel “Sinodo mediatico” che è cosa ben diversa da quello che realmente si è svolto (v. intervista al Card. Baldisseri rilasciata a ZENIT il 25 giugno 2015). Il Popolo di Dio, e soprattutto i suoi ministri e pastori, hanno bisogno di certezze e non di discussioni che ingenerano false e devianti aspettative che minano alle fondamenta la stessa missione della Chiesa. Infatti, non si può non tener conto di quanto è avvenuto dopo l’ultimo Sinodo straordinario e come sono state stravolte dai mass media alcune discussioni su alcuni degli argomenti affrontati e come molti sacerdoti e fedeli le hanno recepite. Se un cardinale durante il Sinodo ha dovuto richiamare il vicario giudiziale che andava dicendo che ormai era inutile presentare i libelli per introdurre la causa di dichiarazione di nullità di matrimonio, se persone omosessuali conviventi credono che il loro comportamento non è più peccato o se un parroco dice a dei divorziati risposati che possono tranquillamente accostarsi all’Eucarestia, questo è segno che qualcosa deve essere rivisto nel modo di comunicare ed informare, e questo non significa sicuramente giudicare le intenzioni ed i propositi di nessuno, ma essere realisti e fare il meglio per il bene del Popolo di Dio. Infatti, la Chiesa è fedele alla missione datale da Cristo nella misura in cui è impegnata senza riserve a servire la Parola di Dio per gli uomini. 

Un ministero sicuramente impegnativo e delicato che richiede una continua attenzione e capacità di discernimento, una pronta disponibilità al dialogo, al confronto al fine di attualizzare la verità di Dio, che non cambia, per incarnarla nelle diverse culture per facilitarne l’accoglienza e la comprensione (cf Mc 6, 11). In tutto questo impegno nell’annuncio di quella verità che sola veramente libera (cf Gv 8, 32), i pastori della Chiesa non dovranno, comunque, mai illudersi, di ricevere l’accoglienza del mondo (cf Gv 15, 1821) e umilmente dovranno sentirsi sempre amministratori delle cose di Dio (cf 1 Cor 4, 12) e di essere chiamati da Cristo ad essere quel sale che dà veramente gusto alla vita (cf Mt 5, 13; Ef 4, 124), coscienti di dover essere sempre e dovunque testimoni credibili che invitano a condividere la gioia e la fortuna dell’essere cristiani agli e con gli altri, proponendo alla loro libera, cosciente e responsabile scelta il progetto originale di Dio sul matrimonio con il medesimo spirito, rispetto ed atteggiamento del Signore: “… se vuoi entrare nella vita …” (Mt 19, 17; e cf anche Mc 6, 713) questo è l’unico e vero matrimonio.


2 commenti:

  1. No, aspetta: mi chiedevo se non si potesse considerare anche il consenso matrimoniale come espresso in una duplice dimensione, in fieri e in facto, come il matrimonio. In fieri sarebbe la dimensione di volontà espressa nella forma prescritta; in facto la volontà manifestata in comportamento che manifesta una inequivoca volontà matrimoniale. Anche il diritto civile riconosce l'importanza della vita matrimoniale, quando nega la delibazione a matrimoni con convivenza ultratriennale, senza equipararli a fenomeni non matrimoniali, come le unioni di fatto. E come si riconosce una gradualità nella maturazione della fede dei coniugi, così si potrebbe riconoscere una graduale maturazione del loro consenso matrimoniale, evitando di dover valutare solo il momento dell'in fieri ai fini della esistenza o non del consenso. Grandi comunque p. Bruno e il card. Antonelli!

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    1. Grazie Pier Filipppo, sempre generoso nel tuo intendere ... ne darò conto ... Un abbraccio

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