martedì 24 gennaio 2012

Il dono della vita e la scienza


Dal momento del concepimento, la vita di ogni essere umano va rispettata in modo assoluto... La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta l’azione creatrice di Dio, rimanendo per sempre in relazione con Lui suo unico fine. …nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente. (Evangelium Vitae, Giovanni Paolo II).

Prendendo spunto da questo passo, appare chiaro l’ammonimento circa la riflessione della sacralità della vita e del dono che essa rappresenta. Volgendo lo sguardo verso quanto avviene nel mondo, si giunge a percepire che nella scala dei valori, il valore primo più che la vita dell’essere umano, è diventato l’egoismo economico e l’ossessivo dominio di certa scienza sul futuro genetico e vitale della specie umana. 

Le questioni attuali che toccano la dignità dell’uomo, in prima persona, circa la procreazione assistita, la biogenetica, la bioetica, la clonazione e avanti su questa direzione, dovrebbero condurre a un’esigente prova di regolamentazione morale, prima che rivolgersi verso un tentativo di disciplinarne giuridicamente i diversi aspetti legali. Il dubbio sul futuro, diventa questione di riflessione etica/morale su dove veramente si vuole arrivare attraverso la ‘scienza’, in che dimensione è presentata la vita dell’uomo cui la scienza stessa dovrebbe offrire rispetto e sacralità di contenuto.

Il dono della vita è oggi di interesse, alla luce di una modernità non molto attenta alla vita stessa e al suo valore? Di che vita parliamo e di quale futuro vivremo?
Il tempo moderno, preso d’ammirazione per le proprie scoperte e la propria potenza, agita spesso ansiose questioni sull’attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul compito dell’uomo nell’universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi e, infine, sul destino ultimo delle cose e degli uomini. Una trasformazione sociale e culturale che determina riflessi rapidi e mutamenti che si estendono in tutta la società.

Notiamo però che, mentre l’uomo accresce la sua potenza conoscitiva, arricchendo il suo sapere scientifico, non sempre, invece, riesce a porre questa ricerca scientifica a suo servizio. E’ veramente interessante notare che quando la scienza perde il suo legame costitutivo con la verità della natura umana, della sua biologia, con i suoi limiti, essa viene a essere concepita come un fatto meramente tecnico, funzionale, perde il contatto con l’umanità di cui la scienza studia i contenuti biologici. Ciò implica che il valore scientifico conoscitivo, è legato al successo dei suoi processi, e dei risultati legittimi sulla base della loro efficacia pragmatica, verso cui dirige tutte le sue energie, tutti i suoi sforzi. Si assiste quindi, venendo meno il riferimento alla verità, a un fenomeno per cui la libertà del sapere tecnico scientifico non è più libertà per la verità ma libertà, perfino doverosa, di poter fare tutto ciò che sia tecnicamente possibile, a volte anche moralmente inaccettabile, arrivando anche a giustificare esperimenti più utili all’ambizione dell’uomo che al progresso dell’umanità.

Ciò nondimeno, la scienza non può perdere di vista la sfera dei suoi fini, non possiede ricerche o applicazioni eticamente neutre: essa è un’impresa personale, in cui, però, non si dovrebbe perdere di vista che la ricerca del vero, scientificamente provato, non è separabile dalla ricerca del bene. L’uomo ha compiuto progressi eccezionali nel dominio e nell’organizzazione razionale delle forze della natura e tende a estendere questo dominio a se stesso: al corpo, alla vita psichica, alla vita sociale e, perfino, alle leggi che regolano la trasmissione della vita. Tale stato di cose fa sorgere nuove domande, come per esempio, rimanendo nell’ambito della sacralità della vita, non si potrebbe ammettere che la finalità procreativa appartenga all’insieme della vita coniugale, piuttosto che ai suoi singoli atti? Nel compito di trasmettere la vita, non si è liberi di procedere a proprio arbitrio, né la scienza può eccedere e superare quei limiti che la natura stessa ci porta a seguire.

S. Tommaso d’Aquino, in rapporto ai processi biologici, ci ricorda che l’intelligenza scopre, nel potere di dare la vita, leggi biologiche che fanno parte della persona umana (STh I-II, q. 94, a. 2). La natura intelligente della persona umana può e deve ambire alla perfettibilità cui è chiamato. Questa, mediante la sapienza attrae con dolcezza la mente a cercare e ad amare il vero e il bene: l’uomo che se ne nutre è condotto attraverso il visibile all’invisibile.

Il nostro tempo ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte, diversamente le subisce nella sua accezione più negativa. Il dono della vita va considerato nella luce di una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena ma anche soprannaturale ed eterna. Nell’intimo della coscienza, se solo si fermasse un attimo, l’uomo scoprirebbe una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce che lo chiama ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore. Tanto più prevale la coscienza retta, tanto più le persone si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il cuore. Deve poter esistere un senso di sacralità in cui la speranza di bene si rinnovi nell’attesa di un futuro che veda l’uomo a sé presente, nella profonda e ricercata tenera umanità.


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