giovedì 11 settembre 2014

La cultura come azione politica


La cultura ha bisogno di azione, per questo la comunicazione diventa una virtù tangibile. Non si può non comunicare” diceva Paul Watzlawick, comunicare implica una relazione, un’apertura al mondo, un voler capire e farsi capire, ma il comunicare parte da se stessi, si comunica a partire da se stessi, il cognoscimento di se lo chiamerà Caterina da Siena, che implica un conoscersi per comprendere e ancor più imparare. Non si può, dunque, non comunicare, non si può, a prescindere da se stessi.

La dimensione umana è dotata di spazi immensi d’inesplorata cognizione, di trascendenza inespressa, il rifiuto di accogliere il Nos e far emergere l’ego denota una rigidità di comprensione tutto frutto di paure inesistenti, mai affrontate, e radicato attaccamento alla propria visione umana, spesso snaturata, fonte molte volte di aberranti e scellerati gesti: “La credenza che la realtà che ognuno vede sia l'unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni” scriveva Watzlawick. La cultura, apre orizzonti infiniti di comprensione e, per questo, ha bisogno di azione, di atti concreti che devono trovare riscontro reale per i bisogni della società, per il superamento delle sue difficoltà. 

Lo sforzo primo è richiesto al corpo politico, quello centrale, di governo, e quello operante sui singoli territori regionali, corpo di grande responsabilità, che genera, nell'opaca e nebulosa gestione della cosa pubblica, conseguenze non produttive per la comunità, per il bene comune, lasciando spazi di disagi su tutti i fronti, la cui azione preminente sembra colpire la persona nei suoi bisogni di edificazione umana. Non più dunque, per l’oggi governativo vissuto, la persona al centro della politica, piuttosto la politica baricentro di ogni consolidamento e beneficio, fine solo a se stessa. Manca al dato politico attuale la cultura, e per cultura non s’intende un libro letto, lauree conseguite, oggi assai deflazionate e sembra senza alcuna prospettiva di pratica operatività e applicazione nel mondo del lavoro, vista la decadente situazione economica europea e mondiale, tutto sembra votato alla raccolta di materia, che comunque si lascerà, e non si tiene conto, invece, del valore umano, del capitale umano senza il quale nulla progredisce, assolutamente nulla!

Ma la cosa più bella che la Terra ci ha dato, ciò che fa di noi degli esseri umani, è la felicità di condividere. Chi non sa condividere è malato nelle sue emozioni” scrive Marc Levy.

La povertà prima dei nostri tempi è la radicata credenza che essere umani è un dato superato e che l’unica cosa da ricercare per la propria affermazione sia l’avere materia, tecnologie avanzate, posizioni di potere per gestire clientele del pensiero unico. Povertà vera è questa condizione, questa bizzarria cui la società ‘potente’ ha assoggettato la realtà umana privandola della creatività, del sogno, del poter dire: il talento non si crea con l’‘accompagno’, talento si è dalla nascita e per questo si deve ringraziare Dio, non mai l’uomo ambizioso di ‘potere’. Scelleratezza, involuzione umana hanno, oggi, relegato la moltitudine dei cuori a non sognare, a rinunciare, a non avere prospettive future e la classe politica cosa fa? Continua nel suo nulla produrre, nel far star bene chi li fa stare bene, alimentando sperequazioni e divari incolmabili dei ceti sociali. Nessuna prospettiva imprenditoriale, di politiche di sviluppo economico, di salvaguardia del patrimonio umano, tesoro prezioso di ogni nazione. Sembra si viva nel relativismo totale del vediamo cosa possiamo inventarci oggi per far passare la giornata, illudendo e facendo scrivere fiumi di chiacchiere ai giornali, quand'anche sbizzarrendosi con tecniche di comunicazioni a dir poco riprovevoli, alimentando speranze di rinnovamento e di rapide riprese. Non si illudono i cultori di cultura, si deve avere rispetto per chi da sempre e per il bene di tutti ne coltiva feconda ricchezza.

Con Blaise Pascal: “Il finito si annulla davanti all'infinito e diventa un puro niente. Così il nostro spirito davanti a Dio, e la nostra giustizia davanti alla giustizia divina”.

Cultura, dal latino còlere, significa coltivare, è la parola più nobile di cui ci si possa nutrire, coltivare il “terreno anima-corpo”, non solo materiale quand'anche spirituale dell’uomo, al fine di renderlo fecondo, che equivale ad esercitare le facoltà morali dell’uomo, edificandone la vita. E’ l’ambizione più grande cui aspirare, è la più difficile proprio perché richiama al Nos e al superamento dell’ego azione. Quanta povertà di comprensione di questo senso della cultura c’è nella nostra politica, ancora oggi, quando difficoltà immani impongono alla gente sacrifici impossibili, tali da non riuscire a vivere. Non si sconforta l’animo votato all'amore e alla comprensione della grazia, ma non si può chiedere a tutti di essere forti, per questo diventa impellente una Cultura di Azione, un sano coltivare e, soprattutto, una comunicazione di verità, di tangibile virtù operosa, dando esempi concreti di buon-fare, di bene-dire, che non diano adito a incognite: pro Nos o pro ego?

[Foto: Raffaello - Part. Scuola di Atene: Pitagora, Ipazia]

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