In un tempo in cui tutto ‘appare’, nell’avvicinare temi delicati, a volte si dimentica la profondità abissale di ciò che per i credenti è sostanza di vita: l’Eucaristia. Si arriva anche a considerazioni relativiste, a giudizi provvisti di inopportunità e saccenza fuorviante, atti ad alimentare dicotomie tra il vero e il faceto, ancor più sulle 'piazze social' che tutto sono tranne che fucine di confronto. La comunicazione sana deve saper essere vera, buona, utile; sa discostarsi dal fare relativista che inficia ogni buona comprensione, tiene conto di testo e contesto, soprattutto non attribuisce l’inopportuno. Una dialettica realmente intenzionata a costruire interazione, non può osare un agire deistruttivo che si rivela inappropriato per tempestiva mal-educazione. Certo, l’intensità di un accadimento inspiegabile impedisce che l’intelligenza dispieghi tutto il suo vigore, anche perché chi intende pensare metafisicamente e fare teologia speculativa deve accettare l’ascesi intellettuale che consiste nel non lasciarsi condizionare dagli schemi emotivi ma confutarne contenuto. Se l’intelligenza non è in grado di liberarsi dalle “categorie” della sensibilità, o le teme, - non dico di negarle, ma di metterle al loro posto -, ne risulta una grande confusione nel discorso sulle cose di Dio. L’ecumene cristiana non mira solo alla riflessione teologica ma anche all’azione pratica che sperimenta e testimonia la fede in Cristo. È un viaggio dinamico quello della conoscenza, che non produce contrapposizioni, ma si rende pietra d’angolo di un umanesimo votato a sollevare la dignità dello spirito umano.
Posto che, sulla scia dell'Aquinate, la fede emotiva non è fede, che l’emotività non è soggetto della fede, che soggetto della fede è l’intelletto speculativo, mi pongo sub tutela Dei che non si fa vedere ma che credo sia, che ascolto e rispetto; permette di essere giusti, di vedere quello che serve, di esercitare il difficile discernimento. Chiamati dunque ad essere credibili, non solo credenti, è dono meta-fisico innestato nel dato spirituale che ci alberga, e diventiamo credibili quando viviamo quello che diciamo, quando non ostentiamo la fede ma la pratichiamo nelle scelte concrete, credibili per la vita e non per le apparenze. Una persona credibile aiuta a credere, come anche un ‘miracolo’, riconosciuto tale, aiuta a credere. Ecco che "Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza" (Sal 91, 4). Per i cristiani parlare di Eucaristia significa inchinarsi, accoglierne vita, germoglio interiore, amore: ogni cattolico è chiamato a comprenderne, a penetrarne mistero, diversamente accostarsi al Santissimo Sacramento come a un rituale a trazione tribale è sacrilegio. Il fascino sapiente della comprensione delle grandi quaestio che abbracciano la fede cristiana attraggono il cuore e l’intelletto e si lasciano sedurre, pronti a relazionare, ossia mettere in relazione, nell’unità della comunione, il grande mistero della vita che inquieta e incoraggia la sua narrazione.
In un'opera di commento alla Scrittura, s. Tommaso ci aiuta a capire l'eccellenza del Sacramento dell’Eucaristia, quando scrive: "Essendo l’Eucaristia il sacramento della Passione di nostro Signore, contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto tutto ciò che è effetto della Passione di nostro Signore, è anche effetto di questo sacramento, non essendo esso altro che l’applicazione in noi della Passione del Signore" (In Ioannem, c.6, lect. 6, n. 963).
Contribuì l’Aquinate a creare formule e linguaggio utilizzati per spiegare la transustanziazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Nella terza parte della Summa Theologiae, egli studia il Mistero di Cristo - la via e la verità - per mezzo del quale noi possiamo ricongiungerci a Dio Padre. Scrive così pagine insuperate sul Mistero dell’Incarnazione e della Passione di Gesù e, parlando dei Sacramenti, si sofferma in modo particolare sul Mistero dell’Eucaristia, per il quale ebbe grandissima devozione, al punto che, secondo antichi biografi, era solito accostare il capo al Tabernacolo, come per sentire pulsare il cuore di Gesù.
Secondo s. Tommaso vi è un duplice modo di considerare l’Eucaristia: come sacramento o come sacrificio (S. Th., III, q. 79, a. 5). Come sacramento, l’Eucaristia è una realtà sacra che contiene il corpo di Cristo stesso, vittima di salvezza (S. Th., q. 73, a. 4, ad 3). «L’Eucaristia è il sacramento perfetto della passione del Signore, in quanto contiene Cristo stesso che ha sofferto» (S. Th., q. 75, a. 5 ad 2), non solo quindi secondo significato o figura ma nella sua realtà oggettiva (S. Th., q. 75, a. 1).
Per l’Aquinate la Messa è un vero sacrificio, perché memoriale della passione del Signore e perché attraverso di essa possiamo prendere parte ai frutti della passione. La dimensione sacrificale della Messa è data soprattutto dalla consacrazione delle due specie (S. Th., q. 80 a. 12, ad 3): il sangue, consacrato separatamente, rappresenta in modo esplicito il sacrificio di Cristo (S. Th., q. 78, a. 3) in quanto ogni sacrificio cruento avviene «con la separazione del sangue dal corpo» (S. Th., q. 74, a. 1). Altri elementi che attestano il carattere rappresentativo della passione sono: la mescolanza dell’acqua con il vino nel calice che indica la fuoriuscita del sangue e dell’acqua dal costato del Salvatore (S. Th., q. 74, a. 6; a. 7) e la frazione delle specie quale segno della passione del Signore che si è compiuta nel suo vero corpo (S. Th., q. 77, a. 7). La Messa non va celebrata solo per dare il sacramento ai fedeli, ma prima di tutto per offrire il sacrificio (S. Th., q. 82, a. 10, ad 1, 2). L’azione sacrificale della Messa è costituita dalle parole che Gesù pronunciò nel Cenacolo sul pane e sul vino. Sono proprio queste parole che il sacerdote ripete che realizzano la trasformazione dalla realtà del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo. La transustanziazione è quindi l’essenza, il costitutivo del sacrificio eucaristico. E, per esprimere la realtà mistica della transustanziazione, l’Aquinate si avvale delle categorie aristoteliche di materia e forma, sostanza e accidente. Materia dell’eucaristia sono il pane e il vino, perché pane e vino adoperò Gesù nell’istituirla (S. Th., q. 74, a. 1). Forma dell’Eucaristia, sono le parole: «Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue» (S. Th., q. 78, a. 1). Nel sacramento della Eucaristia, Gesù si trova secondo la sua sostanza. Ma si tratta di una presenza sacramentale, cioè mediata attraverso quei segni sensibili che sono precisamente le specie del pane e del vino.
Per spiegare l’evento mistico che realizza la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, Tommaso usa il termine «transustanziazione» termine che era già stato introdotto nella teologia latina. Il termine deriva dalla combinazione del prefisso latino ‘trans’ - al di là, cambiamento, e ‘substantia’ -sostanza. Nella filosofia scolastica, la ‘sostanza’ è ciò che rende una cosa ciò che è, mentre gli ‘accidenti’ sono le caratteristiche percepibili. La transustanziazione è il cambiamento o la conversione di una sostanza in un’altra. L’uso del termine è circoscritto al rito eucaristico, e indica il cambiamento dell’intera sostanza o realtà fondamentale del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, mentre le apparenze esteriori - specie, accidenti - del pane e del vino rimangono inalterate.
Il dogma Eucaristico ci è noto dalla Rivelazione. Infatti, sebbene il termine non sia né biblico né patristico, l’idea che esprime fa parte della rivelazione cristiana. Nel II secolo, Ignazio di Antiochia sottolinea che l’Eucaristia è la carne del Salvatore. Poco dopo di lui, Giustino Martire, osserva che i cristiani considerano l’Eucaristia non come cibo ordinario ma come carne e sangue di Cristo. Secondo Ireneo di Lione il vino nel calice e il pane diventano durante il rito dell’Eucaristia il sangue e il corpo del Signore. Dal IV secolo, l’attenzione comincia a concentrarsi più distintamente sul cambiamento. Gregorio di Nissa afferma che il pane, consacrato dalla parola di Dio, si trasmuta nel corpo di Dio. Dopo aver testimoniato che Cristo stesso fa sì che il pane e il vino diventino il Suo corpo e sangue, Giovanni Crisostomo aggiunge che la formula, “Questo è il mio corpo”, trasforma gli elementi eucaristici. Prossimità simile si trova in Ambrogio, che usa il termine “trasfigurare”, e in Cirillo di Alessandria, che usa la parola “trasformare”. Alla fine del VII secolo, questa dottrina viene testimoniata dagli scritti dei teologi di un po' tutta la cristianità. Giovanni Damasceno riassume l’insegnamento dei suoi predecessori: spiega che il pane e il vino sono trasmutati o convertiti nel corpo e nel sangue del Signore; il pane e il vino non sono affatto semplici simboli del corpo e del sangue del Signore, ma vengono realmente ”cambiati” nel corpo e nel sangue.
Una nuova epoca della riflessione teologica sull’Eucaristia si apre nel IX secolo. La figura di spicco in questo periodo fu Pascasio Radberto, che espose chiaramente l’insegnamento cattolico sulla transustanziazione. Con il suo De Corpore et Sanguine Domini il monaco benedettino suscitò una controversia riguardo all’identità del Corpo di Cristo storico con quello eucaristico. San Pascasio Radberto è considerato il maggiore teologo del IX secolo per il suo trattato sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, nonché per alcune opere su Maria, di cui intuì l’Immacolata Concezione scrivendo che “è stata esente da ogni peccato originale”; al monaco s. Pascasio è attribuita anche la IX epistola dello Pseudo-Girolamo, Cogitis me, di gran peso perché contiene già l’idea dell’Assunzione di Maria, che verrà definita da Pio XII, con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus, dogma di fede il 1° novembre 1950.
È tra l’831 e l’833, che s. Pascasio compose il suo scritto più celebre, il De Corpore et Sanguine Domini, un’ampia e profonda esposizione sulla natura dell’Eucaristia. Pascasio, come già i Padri della Chiesa prima di lui, tra cui sant’Ambrogio, spiegò che le parole di Cristo nell’Ultima Cena: Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo; Bevetene tutti, perché questo è il mio Sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati, esprimono letteralmente e chiaramente la presenza del Corpo storico di Cristo nell’ostia consacrata, che “nutre l’anima ed eleva la carne stessa all’immortalità e all’incorruttibilità” del fedele che se ne ciba. Un confratello, Ratramno di Corbie, contestò in un articolo la concezione di Pascasio; tuttavia, le solide argomentazioni del santo Pascasio, ebbero la meglio e costituirono un importantissimo contributo per la definizione della dottrina sulla transustanziazione, termine che comparirà poi in un passo scritto verso il 1150 da papa Alessandro III. Un ulteriore impulso al chiarimento della dottrina fu fornito da Berengario di Tours, che negò la conversione eucaristica e sostenne una presenza puramente spirituale e simbolica di Cristo nel pane e nel vino. I teologi dell’epoca confutarono le sue opinioni appellandosi alla fede antica e universale, e il Magistero della Chiesa condannò le stesse in diversi sinodi locali. Il più importante di questi fu il Concilio Romano del 1079, che per la prima volta in un documento ufficiale dichiarò che il pane e il vino erano “sostanzialmente mutati” nel corpo e nel sangue di Gesù. Dal XII secolo in poi, ”transustanziazione” e ”transustanziare” appaiono frequentemente nei documenti ecclesiastici.
Nel XIII secolo la dottrina aveva raggiunto una formulazione adeguata, ben esemplificata nell’incisivo riassunto di Tommaso d’Aquino: "L’intera sostanza del pane è cambiata nell’intera sostanza del corpo di Cristo, e l’intera sostanza del vino nell’intera sostanza del sangue di Cristo. Perciò questa conversione può essere designata con un nome proprio, transustanziazione" (S. Th., III, q. 75, a. 4).
Si era diffusa l’usanza di conservare il Santissimo nel tabernacolo, di esporre la particola in un ostensorio posto sull’altare. La devozione per il «Corpo del Signore» divenne così intensa che nell’estate del 1248, su pressione di Santa Giuliana di Liegi, – religiosa agostiniana che venne beneficiata di alcune visioni in cui il Signore le chiedeva di impegnarsi affinché la Chiesa istituisse una festa in onore dell’Eucarestia –, il vescovo di Liegi, Roberto di Thourotte, autorizzò nella sua diocesi il culto al Santissimo Sacramento, da celebrarsi il primo giovedì successivo alla domenica dopo Pentecoste, festa della Santissima Trinità. Era nata la Fête-Dieu in onore del SS. Sacramento, il Corpus Christi, il Corpus Domini. A s. Giuliana di Cornillon, la Chiesa deve riconoscenza: oltre che per il suo grande fervore, anche per aver contribuito all’istituzione di una delle solennità liturgiche più importanti, quella del Corpus Domini.
Nel 1252 il cardinale legato di Germania, il domenicano Ughes de Saint-Cher, fu così colpito dalle solennità eucaristiche a cui assistette a Liegi, che estese la festa in tutti i territori della sua legazione. Lo stesso Jacques Pantaléon di Troyes, il futuro Urbano IV, fu presente alle celebrazioni di Liegi, ed era a conoscenza dell’esistenza del movimento eucaristico belga. In Italia non si erano diffusi ancora prodigi legati all’eucaristia e il «miracolo di Bolsena» nel Trecento ebbe risonanza: il miracolo eucaristico di Lanciano, seppur più antico, sarà divulgato solo nel Cinquecento, sull’onda della controriforma tridentina.
Il racconto più antico del miracolo di Bolsena è contenuto nella Chronica (III, tit. 19, cap. 13) di s. Antonino Pierozzi, O. P., Arcivescovo di Firenze, († 1459). Secondo tale versione, un sacerdote boemo, Pietro da Praga, venne in Italia per un’udienza dal Papa Urbano IV che durante l’estate si era trasferito ad Orvieto. Dopo essere stato ricevuto si incamminò per ritornare in Boemia, lungo la via del ritorno si fermò a Bolsena, dove celebrò la messa nella chiesa intitolata a Santa Cristina, al momento della consacrazione, quando il sacerdote pronuncia le parole che permettono la transustanziazione, avvenne il miracolo. Egli era assalito da gravi dubbi sulla transustanziazione del pane e del vino, che furono subito fugati alla visione del sangue che colava dalle specie consacrate e che imbeveva il corporale. Presto si sparse per tutto il paese la voce del miracolo e subito si formò una processione per portare il corporale macchiato di sangue a Urbano IV, che si trovava ad Orvieto. Il papa apprese così del prodigio eucaristico avvenuto in Bolsena e commissionò a S. Tommaso e a S. Bonaventura la ricognizione del fatto, approvando la messa e l’uffizio del SS. Sacramento, opera mirabile di sapienza teologica e di mistica sacra dell’Aquinate. Con la bolla Transiturus de Hoc Mundo ad Patrem, papa Urbano IV, l’11 agosto 1264, istituì la solennità del Corpus Domini come festa di precetto per la Chiesa universale, il giovedì successivo alla Pentecoste. Nella bolla papa Urbano rievoca con discrezione anche le esperienze mistiche di s. Giuliana, avvalorandone l’autenticità. Il Pontefice stesso volle dare l’esempio, celebrando la solennità del Corpus Domini a Orvieto, città in cui allora dimorava. Proprio per suo ordine nel Duomo della Città si conserva, tuttora, il celebre corporale con le tracce del miracolo eucaristico avvenuto a Bolsena. Il 2 ottobre di quello stesso anno moriva però Urbano IV e la bolla Transiturus non ebbe seguito effettivo. Nel 1274 Papa Gregorio X, che – come già aveva fatto Urbano IV in precedenza – si avvaleva di Bonaventura da Bagnoregio, in Orvieto recuperò copia della bolla Transiturus da utilizzare nel tentativo di ricomposizione del Grande Scisma d’Oriente e che portò con sé al II Concilio di Lione. A Lione, durante il concilio, morì s. Bonaventura e s. Tommaso, che era stato invitato da Gregorio a recarsi allo stesso concilio non vi giunse mai poiché si ammalò per via e morì presso Fossanova.
Arriviamo al Concilio di Vienna che si svolse dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312, sotto la guida di Clemente V; questi aveva deciso di far riunire in un’unica Costituzione, nota con l’appellativo di «Clementine», tutti i decreti della Chiesa, a partire da quelli promulgati da Gregorio IX, non ancora codificati. Durante il Concilio papa Clemente V presentò anche la bolla Transiturus di Urbano IV che risultò praticamente sconosciuta a tutti gli ordini e diocesi ivi rappresentati. Essendo la morte di Clemente V avvenuta prima che egli potesse condurre a termine il suo progetto, la Costituzione fu promulgata da Giovanni XXII nel 1317. Da allora in poi la festa del Corpus Domini fu estesa alla Chiesa universale.
Intervennero delle questioni: Martin Lutero ammise la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Tuttavia, egli ripudiò la transustanziazione e insegnò che il corpo e il sangue glorificati di Cristo sono presenti “nel, con e sotto” il pane e il vino, parla quindi di consustanziazione. Giovanni Calvino attaccò sia la dottrina cattolica della transustanziazione che quella luterana della consustanziazione e sostenne che il corpo e il sangue di Cristo sono presenti nell’Eucaristia virtualmente, cioè per un potere che emana da essi.
Di fronte a tali sfide, il Concilio di Trento (1545-1563) emise un insegnamento autorevole sulla transustanziazione (11 ottobre 1551): "Poiché, poi, Cristo, nostro redentore, disse che era veramente il suo corpo ciò che dava sotto la specie del pane, perciò fu sempre persuasione, nella chiesa di Dio, – e lo dichiara ora di nuovo questo santo concilio – che con la consacrazione del pane e del vino si opera la trasformazione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo, nostro signore , e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue. Questa trasformazione, quindi, in modo adatto e proprio è chiamata dalla santa chiesa cattolica transustanziazione". (Capitolo 4, sessione 13). Il can. 2 afferma che la sostanza del pane e del vino non permane insieme al corpo e al sangue del Signore e dichiara: "Se qualcuno dirà che nel Santissimo Sacramento dell’Eucarestia assieme col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le specie del pane e del vino, – trasformazione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, – sia anatema".
Secondo il Concilio di Trento, la sostanza del pane e del vino non rimane ma viene mutata nel corpo e nel sangue di Cristo; nulla persiste del pane e del vino se non le loro apparenze o specie. Il termine "sostanza" nei decreti conciliari non sancisce alcun sistema filosofico, ma indica la realtà fondamentale per cui il pane e il vino sono ciò che sono e non qualcos’altro. Nel linguaggio moderno possiamo dire che la sostanza è l’ente che viene colto dall’intelletto, mentre le specie sono le proprietà che manifestano questo ente a livello di esperienza sensoriale e scientifica.
Ergo: nell’Eucaristia la sostanza del pane e del vino diventa il corpo e il sangue di Gesù, mentre rimangono immutati gli accidenti, cioè le specie o apparenze del pane e del vino. Quindi le dimensioni dell’ostia non cambiano, e non cambiano il colore, l’odore e il sapore, poiché tutte queste cose sono accidenti o specie. Cambia invece la sostanza. E lo stesso si dica del vino. Avviene quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Quando il sacerdote ha finito di dire: «Questo è il mio corpo», il pane non c’è più, e al suo posto c’è il corpo del Signore, e quando ha finito di dire: «Questo è il mio sangue», il vino non c’è più, e al suo posto c’è il sangue del Signore. Per san Tommaso questa fede è talmente evidente e dona questa regola d’oro: «Fin quando rimangono le specie del pane e del vino, rimangono anche il corpo e il sangue del Cristo» (S. Th., q. 77, a. 4).
Permane ai vertici della poesia religiosa di ogni tempo, il Lauda Sion Salvatorem, mirabile preghiera della tradizione cristiana cattolica in cui viene enunciato il dogma della transustanziazione e spiegata la presenza completa e reale di Cristo in ogni specie. L’autore è Tommaso d’Aquino che la compose nel 1264, su richiesta di Papa Urbano IV. Il papa fece convocare un’assemblea che riuniva i più famosi maestri di Teologia di quel tempo. Tra questi s. Tommaso d’Aquino e s. Bonaventura da Bagnoreggio, noti per la brillante intelligenza e purezza della dottrina. Urbano IV desiderava che fosse composto in onore del Santissimo Corpus Domini un Ufficio, da utilizzare unicamente nella Messa cantata in occasione di quella solennità e, per questo, sollecitò ad ognuna di quelle dotte personalità una composizione. Il primo a esporre fu s. Tommaso che declamò la sequenza da lui composta. Fra Bonaventura, ascoltandolo, con un autentico gesto di umiltà, rese tributo alla devozione dell’Aquinate e, senza indugio, cancellò la propria composizione.
Lauda Sion Salvatorem
Loda o Sion il Salvatore, loda la Guida e il Pastore in inni e cantici.
Quanto puoi tanto ardisci: perché (Egli è) superiore ad ogni lode, e (tu) non basti a lodarlo.
Come tema di lode speciale, il Pane vivo e datore di vita viene oggi proposto,
il quale, alla mensa della sacra cena, alla schiera dei dodici fratelli, non si dubita dato.
La lode sia piena, sia risonante, sia lieto, sia appropriato il giubilo della mente,
poiché si celebra il giorno solenne, nel quale di questa mensa si ricorda la prima istituzione.
In questa mensa del nuovo Re, la nuova Pasqua della nuova legge pone fine al vecchio tempo.
La novità (allontana) la vetustà, la verità allontana l’ombra, la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece durante la cena comandò da farsi in suo ricordo.
Ammaestrati coi sacri insegnamenti, consacriamo il pane e il vino, ostia di salute.
Ai cristiani vien dato come dogma che il pane si cambia in carne, e il vino in sangue.
Ciò che non comprendi, ciò che non vedi, ardita assicura la fede, contro l’ordine delle cose.
Sotto specie diverse, (che sono) solamente segni e non cose, si nascondono cose sublimi.
La carne (è) cibo, il sangue bevanda: eppure Cristo resta intero sotto ciascuna specie.
Da colui che (lo) assume, non spezzato, non rotto, non diviso: (ma) intero è ricevuto.
(Lo) riceve uno, (lo) ricevono mille: quanto questi tanto quello; né ricevuto si consuma.
(Lo) ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi, ma con ineguale sorte: di vita o di morte.
È morte per i malvagi, vita per i buoni: vedi di pari assunzione quanto sia diverso l’effetto.
Spezzato finalmente il Sacramento, non tentennare, ma ricorda
che tanto c’è sotto un frammento quanto si nasconde nell'intero.
Nessuna scissura si fa della sostanza; si fa rottura solo del segno:
per cui né lo stato né la dimensione del Segnato è sminuita.
Ecco il pane degli angeli fatto cibo dei viandanti:
vero pane dei figli da non gettare ai cani.
Nelle figure è preannunciato, con Isacco è immolato,
quale Agnello pasquale è designato, è dato qual manna ai padri.
Buon pastore, pane vero, o Gesù, abbi pietà di noi: Tu nutrici, proteggici,
Tu fa’ che noi vediamo le cose buone nella terra dei viventi.
Tu, che tutto sai e puoi, che qui pasci noi mortali:
facci lassù Tuoi commensali, coeredi e compagni dei santi cittadini.
Amen. Alleluia.
Innamoriamoci del Sacramento dell’Eucarestia, sub tutela Dei!
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MARIA FRANCESCA CARNEA, Filosofa, Scrittrice, Consulente Strategie di Comunicazione. Autrice di pubblicazioni a carattere storico, filosofico, socio-politico.
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